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L'editoriale sulla sentenza di assoluzione per l'edificio di Punta Perotti a Bari. _________________________________________________________________
Lo scempio pugliese, l'edilizia che offende ABBATTETE I MOSTRI SUL LUNGOMARE di GUIDO VERGANI Lo Stato deve trovare la strada perché arrivi ad
impugnare la sentenza d’appello che rende imperituri i tre mostri
edilizi di Punta Perotti a Bari. E’ necessario giungere al ricorso in
Cassazione. Se saranno nuovamente sconfitti perché una controversa legge
della Regione Puglia (secondo alcuni in odore di incostituzionalità) pare
legittimare i costruttori, i pubblici poteri potrebbero espropriare i
palazzacci (riducendo così della metà l’onere dell’acquisto rispetto
ai prezzi di mercato) ed abbatterli. Sparirebbero così gli altissimi
scheletri cementizi che, perpendicolarmente alla costa, accecano il
lungomare della città. Questo è il suggerimento di buon senso che, pur
consapevoli delle difficoltà legate ai meccanismi giuridici, ci sentiamo
di dare ai nostri governanti. «Il fatto non sussiste», così ha
sentenziato la Corte d’Appello di Bari, mandando assolti tutti gli
imputati accusati di lottizzazione abusiva, violazione della legge Galasso
e di quelle sulle concessioni edilizie, deturpamento di bellezze naturali
e falso. L’area, infatti, aveva «tutte le destinazioni d’uso
possibili, con esclusione di quelle industriali». Nel 1990, la
precipitosa modifica di una legge regionale ha permesso lo scempio e,
oggi, quella norma è la sponda su cui poggia l’assoluzione, quel «il
fatto non sussiste». Ma, nella realtà, chi può sostenere che il fatto
non sussista e non sia tale da deturpare il paesaggio? È là, a filo
della costa, del mare, con i suoi dieci piani moltiplicati per tre, i suoi
300 mila metri cubi di cemento armato che fanno da orrida quinta al cielo
e al sole. I mostri, la «saracinesca» come la chiamano a Bari
perché chiude, con una protervia da volgarissimi bottegai, la più
preziosa e funzionale vetrina italiana, quella del paesaggio, venivano su
orrendi, sfacciati, in barba alla legge Galasso che vieta di costruire a
meno di trecento metri dal mare. Nessuno ha fiatato. Oggi si dice che la
legge Galasso, per essere applicata e funzionare, avrebbe dovuto essere
incardinata in un piano paesistico regionale: piano che non è stato
varato né dalla Puglia, né dalla Calabria, né dalla Campania e neppure
dalla Lombardia. Ma la legge Galasso prevede (ecco un ottimo appiglio per
impugnare la sentenza) vincoli assoluti e immediatamente obbligatori
proprio per le aree costiere. Non lo ricordava il sindaco di Bari? Non lo
sapevano i consiglieri regionali e comunali di maggioranza e di
opposizione? Sostanzialmente tutti hanno taciuto, compresi i sindacati. Quei mostri - peggiori del famigerato Fuenti sorto
sulla Costiera amalfitana ed ora in via di demolizione - giorno dopo
giorno si elevavano a testimoniare una inaudita violenza al paesaggio.
Eppure non si è sentito un sussurro da parte della locale Sovrintendenza
per i Beni artistici e storici. Verso sud, l’orizzonte del lungomare
veniva seppellito da quella barriera di cemento, la vita stessa della
gente di Bari ne veniva violentata, perché l’inquinamento visivo è
sottrazione di vita e soltanto le associazioni per la difesa
dell’ambiente hanno preso posizione. Dov’era l’Ordine degli architetti che avrebbe dovuto sentire quei tre mastodonti in quel luogo come un’offesa alle intelligenze e alle professionalità che rappresenta? Dov’era Renzo Piano, che a Milano si impegna in un progetto di risanamento di una zona della periferia e a Bari tardivamente si è dissociato dal «parto» degli architetti Vittorio Chiaia e Massimo Napolitano? L’estetica non può essere processata da un tribunale, tanto è vero che i progettisti dei palazzacci di Punta Perotti non erano imputati. Ma è ora che l’Ordine degli architetti assuma la responsabilità di mettere all’indice chi progetta sapendo di ferire a morte la natura, gli autori degli «ecomostri». Dov’era, infine, lo Stato che non ha vigilato sul laissez faire della Regione Puglia, del Comune, della Sovraintendenza? Se una più rigorosa interpretazione della legge Galasso non smantellerà quel «fatto non sussiste» e non innescherà una provvidenziale dinamite, sarà meglio pagare, espropriare e abbattere, magari chiamando a partecipare ai costi dell’esproprio chi, istituzioni e persone, doveva intervenire e non lo ha fatto. |
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