Ceglie,
la Sanità negli anni passati
di Pasquale Elia
LA
nostra città ha sempre avuto negli anni passati una
vera e propria ospedalità, nel senso odierno della parola. Fin dal 1300, infatti, sappiamo che a Ceglie esisteva oltre che un ospedale, extra moenia, o qualcosa del genere nelle immediate vicinanze della odierna Piazza Sant'Antonio anche uno all'interno delle mura cittadine (vedi www.ideanews/antologia/elia/cursia.htm).
L'assistenza agli infermi era affidata agli Ordini Religiosi
(Domenicani e Carmelitani), non si trattava quindi di una organizzazione
statale o locale.
Anche l'amministrazione comunale si adoperava perché i cittadini
potessero godere della migliore assistenza medica, farmaceutica ed
ostetrica. Prova
ne sia che a tale scopo fin dal 5 agosto 1583 l'Università
di Ceglie (Comune) e per essa
il Sindaco (in carica) stipula
una convenzione con Ortentio Oliva della Terra di Cisternino per
l'apertura di una speciala (farmacia)
nel comune di Ceglie (ASBr., Notaio Cornelio Vacca,
C.164.inv.III.B.3.1.I.14), quel contratto venne rinnovato il 7 gennaio
1592, infatti, il sindaco
dell'epoca Magnifico Stefano Suma
stipula una convenzione con Ortentio Oliva per l'apertura di una
speciala (farmacia) in Ceglie
della quale sia obbligato tenere la speciala fornita di tutte quelle
cose necessarie che bisognano alli malati (ASBr., Notaio Cornelio
Vacca, C.1/tergo-2/tergo.inv.III.B.3.1.I.3).
La
differenza tra i due suindicati patti sta nel fatto che nel secondo si
obbliga il farmacista a tenere quelle
cose necessarie che bisognano alli malati. La
convenzione fu rinnovata per i
successivi cinque anni il 21 agosto 1597 (ASBr., Notaio Cornelio Vacca,
C.45.inv.III.B.3.1.I.4). E
il 24.07.1595 il sindaco pro-tempore Giovanni Maria Santoro
e il sindaco degli anni seguenti, Nicola Donato Blundo (in
seguito Biondi), firmano una convenzione con il Magnifico
Laporta Mario dottore fisico, di Taranto, il quale promette e si obbliga
di esercitare la sua arte di medicina agli abitanti della Terra di
Ceglie (ASBr., Cornelio Vacca, C.202.inv.III.B.3.1.I.4). L'impegno
in argomento fu rinnovato tra le parti il giorno 11 aprile 1596 (ASBr.,
C. Vacca, C.260.inv.III.B.3.1.I.4). Con questo contratto potrebbe essere
nata nella nostra Ceglie la non dimenticata condotta medica. Il
3 ottobre 1823, il Decurionato decide di istituire a Ceglie, allora
senza alcun predicato, addirittura una scuola
per levatrice (ASBr., Conclusioni
decurionali, CC.92/v-96/v, b.9 - fasc.3). E' noto a tutti che, a
quei tempi e fino a non moltissimi anni fa, il parto avveniva in casa
con l'assistenza della ben conosciuta levatrice (mammàra), coadiuvata
dai parenti della puerpera. In seguito la levatrice e la puerpera
unitamente ai suoi famigliari in segno di riconoscenza e di rispetto si
chiamavano commàre. Le
sostanze medicamentose usate erano diverse e dirette a parecchi scopi.
Fra quelle ad azione disinfettante va ricordato, prima di tutto il vino,
il quale si usava puro o come ingrediente nelle confezioni di diverse
medicine consigliate per medicare le ferite, insieme ad erbe varie.
Celso, che riporta le migliori medicazioni delle ferite
dell'antichità classica, scrive che, per prima cosa esse si devono
lavare con una spugna imbevuta di vino, qualora non si possa sopportare
un lavaggio con l'aceto. Anche l'aceto, infatti, veniva usato, non come
disinfettante ma per frenare le emorragie.
Molto in voga era il salasso, il quale veniva praticato a Ceglie
almeno fino a circa sessant'anni fa.
Fra tutte le operazioni mediche del medioevo il salasso era una
delle più frequenti benché sotto un certo punto di vista, anche una
delle più complicate. Al barbiere, che a quei tempi collaborava
parecchio con il medico, era riservato solo l'atto manuale di aprire la
vena per dar luogo alla fuoriuscita del sangue; l'indicazione invece era
riservata al medico vero e proprio. Egli doveva tenere conto prima di
decidere per il salasso, del genere della malattia, della regione più
adatta per eseguire il piccolo intervento, della vena specifica da
aprire, del giorno e dell'ora, nonché delle condizioni astrali.
Oltre ai salassi praticati come cura di malattie acute, vi erano
quelli periodici, che venivano eseguiti in determinati periodi
dell'anno. In queste occasioni venivano, tra l'altro, impiegate le
sanguisughe, nel nostro dialetto sanguètt'l'.
Lo
scrivente ricorda, come fosse stato l'altro giorno, che una zia di sua
mamma (anni quaranta), sofferente di ipertensione arteriosa, come
applicava quegli animaletti. La terapia in questione era regolarmente
prescritta dal medico, il quale molto spesso assisteva il paziente. Risparmio
la descrizione di quel cruento trattamento. Desidero ricordare invece
che all'epoca la farmacologia non era quella che noi oggi conosciamo. Fino
a non moltissimi anni fa le difese contro le pestilenze non furono molto
diverse da quelle escogitate nei secoli bui medioevali. Come
pubblici rimedi si usavano ancora i grandi fuochi, le fumigazioni nelle
piazze e nelle vie a base di sostanze odorose, comprese quelle
puzzolenti. Come
mezzi preventivi si ricorreva alla quarantena, all'isolamento nei
lazzaretti, alla distruzione con il fuoco degli oggetti e delle
masserizie infetti. Come
mezzi di difesa personale si usavano invece le cosiddette palle
odorifere, spugne imbevute di sostanze odorose. La
nostra città nei secoli passati fu molto spesso colpita da carestie e
da pestilenze di ogni genere. La prima epidemia di peste, di cui siamo a
conoscenza, si sviluppò negli anni 1603-1606, seguì poi quella del
1656, ed infine quella del 1690-1692. Nel
1622, invece, e poi ancora, nel 1672, la città fu colpita da una
gravissima carestia. Nella
relazione di una visita pastorale effettuata, nel 1627, da Mons. Ridolfi,
vescovo di Oria, ci informa che, a seguito di un miracolo avvenuto, nel
1622, la municipalità cegliese fece costruire, a proprie spese, nella
chiesa Madre, una Cappella dedicata al SS. Crocifisso (don Gianfranco
Gallone, La Chiesa e la devozione
di San Rocco a Ceglie prima del '900, in E'
ancora l'alba, AA.VV. Oria 1999, p.53, nota n°10). A ricordo di
quell'avvenimento, l'Amministrazione comunale chiese ed ottenne di poter
rinnovare, annualmente, la propria devozione al Crocifisso con una
celebrazione che ricade proprio la seconda domenica di ottobre. A Ceglie,
infatti, il 2 maggio di ogni anno, si effettua anche una fiera-mercato
dedicato proprio al Crocifisso.
Il
primo contagio colerico più vicino ai nostri giorni si manifestò negli
anni 1833-1837, e per questo motivo si dette un forte impulso alla
costruzione dei cimiteri in tutta la Terra d'Otranto (Ceglie aveva già
iniziato nel 1824). Il 12 marzo di quel 1824, infatti, il Decurionato
deliberò la costruzione del
camposanto con sepoltura per tumulazione e non per inumazione (ASBr.,
Conclusioni decurionali, aa.1824-1837, b.9, fasc.3). Il cimitero
monumentale di Ceglie verrà costruito in vari lotti dal 1864-1875 (ASLe.,
Atti Prefettura, Serie II, vers.I, b.15, fasc.39). Il 1877 fu l'ultimo
anno in cui fu utilizzato il cimitero posto sul retro della chiesa di
Sant'Anna. A
titolo di curiosità riporto la ricetta proposta dal farmacista Michele
Santoro di Martina Franca per la cura dell'epidemia di colera
verificatasi nel Salento e quindi anche a Ceglie, negli anni 1854-1855.
Essa consisteva in uno sciroppo a base di papavero diluito in acqua acidulata per acido
solforico, più làudano e con l'aggiunta di fiori di zinco ed oppio.
Il làudano si componeva in
genere di soli quattro elementi: oppio, zafferano, china, ferro, ma la
sua composizione poteva variare a seconda dei casi con l'aggiunta di
cannella, garofano e alcol. Era usato come
analgesico per lenire i dolori addominali (cfr. E. De Simone, Cholera-
morbus, epidemie, medicina e pregiudizi nel Salento dell'Ottocento, Lecce
1994, p.25). Nel
1867, la diffusione colerica ritornò in tutto il Salento e anche questa
volta Ceglie fu tra i paesi più colpiti insieme a Francavilla, Ostuni,
San Vito, Brindisi, Grottaglie, Martina, Massafra, Castellaneta (ASBr.,
Atti Prefettura, Gabinetto, b.111, fg.1311. Vedi pure in BPL. Atti del
Consiglio Prov.le di Terra d'Otranto, discorso del Regio Commissario, 2
dicembre 1867. ….I colpiti dal cholera nel corrente anno 1867 ammontarono nella Provincia
alla cifra di 15.190, di questi 10.502 furono solo attaccati, e 4.698
soccombettero….). Nel circondario di Brindisi i morti alla fine
del mese di settembre furono 1.933 (cfr. E. De Simone, cit. p.77). Il
ricovero nell'ospedale, a quel tempo, si mantenne sempre molto basso.
Era opinione molto diffusa fra la popolazione che, chi entrava nel
cosiddetto lazzaretto,
così veniva indicato il nosocomio all'epoca, sarebbe uscito solo dopo
la morte; e c'è anche chi sosteneva che lì dentro i medici, ben
prezzolati dal governo, somministrassero artatamente veleni per
sopprimere la povera gente, la sola che di norma veniva inviata presso
quelle strutture fatiscenti. Questa
credenza popolare è rimasta inculcata nell'animo dei nostri nonni e dei
nostri padri fino a qualche decennio fa. Da
fonti popolari, non suffragate, d'altro canto, da alcuna documentazione,
i morti di quest'ultima epidemia colerica furono seppelliti tutti
nell'Abbazia di Sant'Anna. Alcune
anziane nonne raccontano, tra l'altro, (notizia da prendere, come si
dice, con le molle o con il cosiddetto beneficio d'inventario. Lo
scrivente NON ci crede, ma la riferisce per dovere di cronaca), per
avere, a loro volta, sentito raccontare dalle loro mamme o dalle loro
nonne, che, molto spesso, il malcapitato, avvolto in un lenzuolo, veniva
accatastato, alla rinfusa con altri corpi, sopra a nu'
traijn' quando ancora non era del tutto morto. Un
espediente messo in atto per premunirsi dalla propagazione del contagio
inoltre era quello di bloccare tutte le vie di accesso alla città. E
questo fu fatto qualche secolo fa, come riporta il notaio Donato Antonio
Lamarina in un suo atto datato 1 maggio 1715. Alcuni
cittadini di Ceglie dichiarano come nel 1691 trovandosi guardiani di
detta Terra in occasione della peste che cera (sic)
in provincia di Bari………….(Cisternino era provincia di Bari,
fino al 7 gennaio 1927 quando fu istituita la provincia di Brindisi).
Quei cittadini cegliesi erano stati posti a guardia del territorio
metropolitano nelle pressi della
masseria di Campodorlando al
limite con quello di Ostuni (ASBr., Notaio D.A. Lamarina,
C.35.inv.B.3.1.IX.6). Un'altra
grossa piaga sociale inoltre era la pediculosi. Forse saranno in pochi a
crederci, ma il pidocchio del capo, é stato debellato non molti anni
fa. Esso colpiva in modo particolare chi non rispettava le più
elementari norme igieniche, in particolare quelle relative ai capelli e,
si trasmetteva da una persona all'altra con l'uso promiscuo dei pettini,
di spazzole o anche di copricapi. Uno dei disturbi più fastidiosi
provocati dal pidocchio è il prurito. Bisogna tenere presente che non
è questo il solo inconveniente: il parassita è infatti portatore di
microbi e malattie, come ad esempio il tifo petecchiale. Per la
disinfestazione ricordo che, nella nostra città, veniva spruzzato il
capo dei malcapitati (erano tanti: piccoli, giovani e anziani, insomma
di tutte le età e di entrambi i sessi) con l'insetticida meglio noto
DDT (dopo la sua scoperta) oppure lavato con petrolio (idem) in
sostituzione dello shampoo (inesistente), quindi lavato ben bene con
aceto diluito in acqua calda. Qualche settimana dopo però il parassita
ricompariva, non perché l'insetticida non avesse fatto il suo dovere,
ma per il semplice fatto che non esisteva l'idea dell'igiene personale.
Infine c'erano pulci, cimici e zecche.
E tutto questo a causa della coabitazione con gli animali domestici
(cavalli, cani, asini, muli, galline, gatti), i quali oltre a non essere
vaccinati, non venivano mai lavati. E che dire poi dei topolini che
passeggiavano per le case e dei ratti che circolavano indisturbati per
le strade? La colpa di tutto era da ricercare nella mancanza assoluta di
acqua in principal modo, e quella poca che il Padre Eterno mandava nella
stagione delle piogge diventava molto preziosa e per bere e per
cucinare, l'igiene personale, pertanto, diventava non necessaria e
rimandata a migliori momenti. I momenti migliori, poi, non arrivavano
mai perché l'acqua continuava a mancare sempre. Per la verità manca
ancora oggigiorno, purtroppo. Era, anzi lo è ancora, un bene
estremamente, prezioso per le nostre città. Oggi
l'igiene, con le giovani generazioni, ha fatto grandi progressi e ha
permesso di vincere molte malattie, i farmaci sono efficaci, la
chirurgia ha compiuto passi da giganti, l'anestesia ha consentito di
vincere il dolore, i mezzi diagnostici sono sicuri ed estremamente
sofisticati. Il
flagello della peste e del vaiolo è stato sostituito da quello del
cancro, la tubercolosi uccide solo raramente, ma il cuore sembra essere
particolarmente vulnerabile ai continui stress della vita moderna. Molte
malattie sono state vinte, ma altre ne hanno preso il posto,
costringendo la medicina a perpetuare quella lotta che, da quando l'uomo
è comparso sulla terra, viene portata avanti per la difesa della
salute.
Discussione 1 - Intervento di don Gianfranco Gallone (10 ottobre 2001) Secondo monsignor Gianfranco Gallone, inviato presso la Nunziatura apostolica in Mozambico, il primo Ospedale fu fondato dal sacerdote Gian Giacomo Lerna nel 1545, dove attualmete si trova il cosidetto «Ospedale Vecchio». Inoltre - chiarisce - il Convento dei Cappuccini venne soppresso nel 1866 e non 1809, in applicazione della Legge Siccardi, dopo l'Unità d'Italia, venne utilizzato come lazzaretto durante il colera del 1867 e dal quell'anno è rimasto come Ospedale.
2 - Replica di Pasquale Elia (6 novembre 2001) Non mi sono mai sognato di affermare che il convento dei frati Cappuccini sia stato requisito nel 1809. Confermo,
invece, che il convento dei Padri Domenicani fu confiscato, nel 1809, a
seguito del decreto n°448 del 7 agosto 1808 a firma di Gioacchino Murat. Il decreto citato prevedeva e prescriveva, all’art.15, la
soppressione degli Ordini Religiosi con il “pretesto
che essi avessero ormai fatto il loro tempo”.
La
legge di soppressione dei monasteri e conventi del 1807, risparmiò
quello dei Cappuccini di Ceglie perché appartenente ad un “Ordine Mendicante” (cfr. P.Elia, Gli Ordini Religiosi a Ceglie Messapica, in Soste di Pietra (a cura di) E. Turrisi, Latiano 2000, p.102).
La
struttura conventuale domenicana fu occupata dal Municipio,
dall’Ufficio del Registro, dalla Pretura, dalla Caserma della
Gendarmeria Reale e poi dai Carabinieri Reali.
Il
Decurionato, il 2 aprile 1823, deliberava il restauro di due stanze appartenenti al convento ex domenicani e da
aggiungere alla casa comunale (ASBr.,Conclusioni
decurionali, b.9, fasc.3, CC.44/R-46/R) e il 4 gennaio 1824,
approvava l’adattamento a
prigione delle donne la stalla (era affittata a Pasquale Vitale fino
al 15 agosto 1825) dell’ex convento dei domenicani, aprendovi una finestra sulla strada
e un’altra che corrisponda nel chiostro (ASBr, idem).
Il
disegno di soppressione venne ripreso una cinquantina di anni dopo,
allorché il Regno di Sardegna prima, con legge 29.5.1855, e il Regno
d’Italia poi, adottarono una serie di provvedimenti eversivi
dell’assetto istituzionale e patrimoniale delle chiese locali.
Con
decreto luogotenenziale 17.2.1861, Eugenio di Savoia sanciva la
soppressione di…..tutte le Case
degli Ordini Monastici di ambo i sessi esistenti nelle Provincie
Napoletane, non escluse le Congregazioni Regolari, ad eccezione di
quelle che saranno designate con Nostro successivo Decreto come
benemerite per riconosciuti servigi che rendono alle popolazioni nella
sana educazione della gioventù, nell’assistenza degli infermi ed in
altre opere di pubblica utilità… Fra queste incappò anche il
nostro convento dei Cappuccini. Il decreto, inoltre, disponeva che
l’incameramento e la gestione dei beni posseduti dalle Case religiose
soppresse, passasse alla Cassa
Ecclesiastica dello Stato.
Questa era stata istituita con legge 29.5.1855 dal regno di Sardegna.
Alla
luce del decreto luogotenenziale di cui sopra, il 6 febbraio 1862, il
convento dei Cappuccini di Ceglie fu sequestrato dalle Autorità
(Intendente dell’Ufficio del Registro di Ceglie Messapico. L’Ufficio
del Registro a Ceglie fu costituito, nel 1817, e trasferito ad Ostuni,
nel 1934). [ASLe., Verbale di
possesso dell’Ufficio del Registro di Ceglie Messapico – Direzione
Demaniale di Lecce – Amministrazione del Fondo per il Culto –
Benefici (b.29, fasc.258, Anno 1862-66)]. Con
successiva legge 7.7.1866, n° 3036 furono soppressi tutti i monasteri
di entrambi i sessi e, pertanto, il nostro convento dei Cappuccini fu
sgomberato il 31 dicembre 1866 [ASLe., Verbale
di verifica per gli oggetti esistenti nella Casa Religiosa Cappuccini di
Ceglie Messapico in occasione dello sgombro (sic)
dei Membri Componenti la detta Casa, partendosi dal verbale di presa di
possesso, qui alligato, del 6.2.1862]. Tra le altre cose furono
sequestrate: -
una corona a diadema sulla testa dell’Immacolata della valuta
approssimativa di L. 40.00; -
altra corona in testa di un bambinetto L.12.00. Nel
1867, il convento dei Cappuccini fu trasformato in ospedale
e ricovero di mendicità (Padre S. da Valenzano, I Cappuccini nelle Puglie, Memorie Storiche, 1530-1926, Bari 1926,
cap. IV) ed ha funzionato per quasi cento anni. A piano terra oltre
all’ingresso, c’era la cucina, il refettorio, la biblioteca ed altri
locali di interesse generale, mentre al piano superiore dove si accedeva
da una scala angusta e stretta dall’interno c’erano le celle dei
frati che poi diventarono stanze per gli ammalati. Una descrizione
minuziosa può essere fatta dal Signor Francesco (Ciccio)De Fazio, il
quale ha lavorato per molti anni in quei locali. Il
cronista domenicano scrive testualmente: Si
cominciò e fabricò il convento nel luogo ove oggi (1744) si dice il convento vecchio, e propriamente dove è presentemente lo
spedale. Si era cominciata una fabrica del convento di donne
monache, ove al presente è quel convento, e qui proseguivano a
fabricare e ci fecero il nuovo convento, come oggi è e lo trovarono li
Padri ad abitarlo nel 1682 (ASBr., Platea seu campioni….ecc. Anno
1744). Il
convento vecchio si cede all’Università e Capitolo
acciò servisse questo nuovo convento, e con questa cessione si
contentarono……E se mai di detto luogo concesso per Spedale dei poveri, se ne facesse altro uso, la donazione è NULLA e
possono gli Padri ripigliarsi il tutto……(ASBr.
Platea cit. p.2-3; P.Elia, Gli
Ordini Religiosi cit., p.102). La
costruzione conosciuta oggi come Ospedale
vecchio (attuale sede ASL) NON è del 1545 come afferma don
Gianfranco Gallone, ma molto più moderna, a mio parere, risale alla
seconda metà del XVIII secolo.
Il
notaio Donato Antonio Ciracì il 23 giugno 1606 scrive di un Venerabile
Hospitale, ma non si riferisce di certo all’odierno Ospedale
vecchio, e tenterò di dimostrarlo. Per
esserci un ospedale vecchio ci
deve pure essere anche un ospedale
nuovo. Per noi del XXI secolo l’ospedale
nuovo è quello in funzione in questo momento, mentre il vecchio
è quello dove ha sede l’ASL, ma se volessimo fare i pignoli l’ospedale
vecchio dovrebbe essere quella struttura dell’ex convento dei
Cappuccini abbattuta alcuni anni fa e che ha funzionato da ospedale dal
1867 agli anni sessanta. Il conosciuto vecchio
dovrebbe essere vecchissimo, in
realtà non è il vecchio che si intendeva a quell’epoca. E’
ormai noto a tutti che il 20 febbraio1743, si verificò un disastroso
terremoto nel Salento con epicentro il Canale d’Otranto. Le scosse
telluriche si ripresentarono l’11 e poi il 31 ottobre di quello stesso
anno 1743. Tutti i Centri abitati della provincia d’Otranto subirono
molti danni a cose e persone. E Ceglie fu tra questi (cfr. F.Ascoli, La
storia di Brindisi, Fasano 1976, p.350). Sappiamo
che il nosocomio cittadino fu duramente colpito dal terremoto. Proprio
per il fatto di cui sopra, il 12 dicembre 1743 si decise di riedificare
e ristrutturare l’ospedale
(ASBr., Notaio T. Lamarina, C.298/T.INV.III.B.3.1.X.2). Il
procuratore in quel tempo dell’ospedale Magnifico Nicolò Principalli
acquistò, il 2 dicembre 1743, dal rev. don Giuseppe Lamarina un suolo
adiacente all’ospedale in occasione del suo rifacimento
e ristrutturazione ad
opera del mastro Nicolò Antonio Maldarelli della città di Ostuni,
mastro Francesco Palazzo e mastro Paolo Antelmi di Ceglie (ASBr.,
Notaio T. Lamarina, C.298/V-302.INV.III.B.3.1. XI.1). Infine
Corsèa Sant’Antonio. Mi
domando e domando a don Gianfranco Gallone, perché quell’angolo
di Ceglie (odierna Piazza Sant’Antonio) che, all’epoca, era
certamente fuori le mura cittadine, viene indicato proprio Corsèa
Sant’Antonio? Secondo
il Dizionario
Etimologico Italiano (vedi La
vera Storia della Cursìa Sant’Antonio, in questa antologia) la
parola Corsèa, Corsìa, Cursìa,
ha il significato di corridoio,
camerata, dormitorio, complesso con letti, ossia odierna Corsìa di Ospedale.
Per
quanto sopra lo Spedale
dei poveri dove vogliamo trovarlo? La Cursìa Sant’Antonio
perché ha quel nome e il quel posto?
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