La
vera storia della "cursìa" di Sant'Antonio
di Pasquale Elia
Fin da ragazzino ho sempre creduto che cursìa fosse il vocabolo dialettale derivante da Corso. Quella parola nel gergo paesano (jint' a' cursìj), infatti, indica il Corso Garibaldi. Non è invece così.
La Curia oritana con un decreto datato 22 agosto 1748 autorizzava
il Capitolo della Chiesa Collegiata di Ceglie ad alienare, tra l'altro,
alcuni beni stabili di proprietà
per estinguere un debito di 4.000 ducati dovuti dal Capitolo ad un certo
don Giovanni Polaja di Martina. In quell'atto compare la Corsèa
Sant'Antonio.
La cursìa,
corsèa o corsìa (Dizionario Etimologico Italiano, Istituto di
Glottologia, Università degli Studi di Firenze, Firenze 1968, a cura di
C. Battisti e G. Alessio) sono parole con il significato di corridoio,
camerata, ospizio, dormitorio, complesso con letti, insomma
l'odierno senso di corsìa di
ospedale.
Per quanto sopra devo dedurre che nell'odierna
Piazza Sant'Antonio o immediate sue vicinanze, alcuni secoli fa, oltre
ad una piscina di proprietà della Chiesa Madre concessa in affitto alla
famiglia ducale (all'epoca del documento Sisto y Britto. Dai giardini
del castello si accedeva alla piscina
attraverso una porta corrispondente all'attuale civico 52 di Corso
Garibaldi), doveva esserci un ospedale, extra
moenia, forse, per malattie infettive o per malati incurabili
dedicato a Sant'Antonio. Ma quale Sant'Antonio? Da Padova o Abate?
E' noto a tutti che fino a qualche decennio fa esisteva anche
un'antica chiesetta - sec. XI (?) - consacrata a Sant'Antonio Abate. Secondo
Rocco Antelmy, primo storico cegliese, quell'antica Chiesa potrebbe
addirittura risalire all'epoca di Costantino per avere su di
un'architrave della porta d'ingresso incise le lettere I H S V (In
Hoc Signo Vinces). Dai
documenti custoditi presso l'Archivio di Stato di Brindisi si ricava che
già nella prima metà del '500 Ceglie possedeva un suo ospedale, intra
moenia. E' da pensare quindi che gli ospedali fossero due, uno,
dentro la cinta muraria, l'altro, fuori. Dalla toponomastica cittadina (largo
ospizio) ricaviamo inoltre che deve esserci stato un terzo complesso
ospedaliero detto Ospizio. Il
23 giugno 1606, il notaio Donato Antonio Ciracì, in un suo atto ci
conferma l'esistenza di un Venerabile
Hospitale efficiente e funzionante.
Sappiamo pure che il 20 febbraio 1743 il Salento fu colpito da un
disastroso terremoto. Tutte le città della zona subirono ingenti danni.
E Ceglie non fu certo da meno. Il nosocomio cegliese in quell'occasione
deve aver subìto gravi danni alle infrastrutture tanto che il 2
dicembre di quello stesso anno (1743) si rese indispensabile la ristrutturazione
e riedificazione dello ospedale. Ma già nel 1744 il cronista
domenicano scriveva di un vecchio
ospedale. Qual'era
dunque l'ubicazione di quel vecchio
ospedale? Non certo quello che noi indichiamo adesso occupato dall'ASL,
né tanto meno quello ubicato nel convento dei Frati Cappuccini. Quello
diventò dapprima ricovero di mendicità e poi ospedale ma dopo lo
sfratto dei Frati avvenuto il 31 dicembre 1866 da parte dell'Ufficio del
Registro di Ceglie. Un
atto del notaio Tommaso Lamarina (ASBr), datato 12 aprile 1683, riporta
l'inventario dei beni immobili
di proprietà della Cappella di Sant'Antonio
di Vienna situata dentro la Terra di Ceglie. Beneficiario di quei
beni (Grància) era il clerico Giuseppe Oltavy della Terra di Turris Paludarum (odierna
Torrepaduli, prov. di Lecce), diocesi
di Ugento. In seguito, nel 1748, quel beneficio veniva goduto,
invece, dal Cappellano rev. don Giuseppe Manfredi di Scorrano (LE), il
quale fu investito dal Cardinale Francesco Pignatelli, arcivescovo di
Napoli (Napoli 6.2.1652 - ivi 5.12.1734. Fu Arcivescovo di Taranto dal
27.9.1683, Nunzio apostolico in Polonia fino al 1703). Ma perché i
Cappellani di quella chiesa erano della provincia di Lecce? Non è stato
possibile saperlo. Il
Sant'Antonio di Vienna, altro non era che il nostro Sant'Antonio Abate.
Veniva così indicato perché le reliquie del Santo erano custodite, in
Francia, nella Chiesa di Saint Antoine de Viennois (Bibliotheca
Sanctorum, Roma 1962, p.114; Enciclopedia
Cattolica, Città del Vaticano, Roma 1948, vol. I, p.1539; F. Novati,
Sopra un'antica storia lombarda di Sant'Antonio di Vienna, in Miscellanea
d'Ancona, Firenze 1901; F. D'Elia, Il
falò di Sant'Antonio, Note di folklore salentino, Martina Franca
1912; R. Corso, Il porco di Sant'Antonio in Folklore
Italiano, I (1925), p.316 e segg; P. Toschi, La poesia popolare religiosa in Italia, Firenze 1935, pp. 107-112).
Nel nostro dialetto il Santo viene ancora oggi indicato con la pronunzia
francesizzata: Sant'Antuèn. Il
Santo fu venerato dal popolo, il quale faceva ricorso a lui contro la
peste, lo scorbuto e contro tutti i morbi contagiosi. Lo sviluppo del
culto popolare del Santo fu dovuto alla sua fama di guaritore dell'Herpes
zoster meglio conosciuto come fuoco
di Sant'Antonio. L'origine di questa tradizione risale alle molte
miracolose guarigioni che sembrano essersi verificate durante
un'epidemia che infestava la Francia in occasione della traslazione
delle reliquie del santo da Costantinopoli in Europa. In onore di
Sant'Antonio Abate, il giorno della vigilia della festa (16 gennaio)
venivano e tuttora vengono accesi per le strade grossi falò. La
popolarità del culto favorì la pia consuetudine di intitolargli
ospedali, chiese, confraternite, edicole. Il suo culto, in Oriente,
risale al IV secolo, in Occidente al V, a Ceglie, in particolare, per
quanto di nostra conoscenza, alla fine del secolo XI. Il
Santo, inoltre, è il protettore degli animali domestici. Il 17 gennaio,
infatti, sul sagrato delle chiese viene benedetto anche il pane,
cosiddetto di Sant'Antonio da far mangiare agli animali domestici malati
(Bibliotheca Sanctorum, Roma
1962, p. 115-116). Non
sappiamo se nella vecchia Chiesa Madre, quella costruita nel 1521 dai
coniugi Sanseverino, si venerasse il Santo di Padova. Si hanno le prime
notizie certe solo nel 1630, quando il Duca Diego Lubrano fece costruire
un altare dedicato al Santo. Anche
Sant'Antonio da Padova ha il cosiddetto pane
dei poveri. Una pia devozione ed istituzione assistenziale di
notevole rilevanza sociale consistente in una elemosina distribuita ai
poveri sotto forma di pane. La benefica opera a sollievo dei poveri ebbe
sviluppo alla fine del XIX secolo per merito di Louise Bouffier di
Tolone in seguito ad una speciale grazia da lei ottenuta. L'Amministrazione
comunale cegliese in data 14 marzo 1823 chiede al vescovo di Oria il permesso di festeggiare Sant'Antonio da Padova il giorno della sua
ricorrenza (13 giugno) e non
la domenica successiva come era stato fatto fino a quel momento. Sappiamo
che, a cavallo tra il IV e il V secolo d.C., nacque a Ceglie un certo
Giuliano (385-450/4) il quale fu vescovo della città scomparsa di
Eclano, corrispondente all'odierna Mirabella Eclano (AV). Suo padre
Memore, anch'egli vescovo, fu amico di Sant'Agostino e Paolino di Nola. Giuliano
fu dunque allevato nel culto del cattolicesimo. E' da ritenere quindi
che nella nostra piccola Ceglie dell'epoca doveva pur esserci una
Cappella dove veniva celebrata la Messa. Se
vogliamo tenere per vero ciò che scrisse Rocco Antelmy circa le lettere
I. H.S.V. la devozione per Sant'Antonio Abate nella nostra città
è molto più antica di quanto si crede. E' storicamente provato che il
culto per il Santo si diffuse in Occidente nel V secolo. Perché non
pensare che Ceglie, d'altronde geograficamente molto vicina all'Impero
d'Oriente, possa avere accettato il culto per quel Santo fin dal primo
momento? Per
quanto sopra esposto, è da ritenere che la famosa Cursìa
Sant'Antonio potrebbe riferirsi a Sant'Antonio Abate venerato molto
o alcuni secoli prima di Sant'Antonio da Padova.
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