Osteria dei Santi, ex cappella di Sant'Antonio
di Pasquale Elia
CENNI STORICI Rocco Antelmy (1834 – 1917), primo studioso della storia cittadina affermava che l’antica Cappella di Sant’Antonio Abate potrebbe risalire addirittura all’epoca di Costantino (editto di Milano, 313 d.C.), per avere incise su di una architrave, all’ingresso, le lettere I.H.S.V. (In Hoc Signo Vinces)[1]. Personalmente non concordo con questa ipotesi, ma per dovere di cronaca riporto quanto scritto dallo studioso nostro concittadino. La Cappella in argomento, molto semplice nel suo stile comunque, è molto antica e risale sicuramente all’alto medioevo (fine secolo XI). Quella chiesa era dedicata a Sant’Antonio Abate, il quale, alcuni secoli fa, era conosciuto anche come Sant’Antonio di Vienna. Negli atti notarili custoditi presso l’Archivio di Stato di Brindisi e negli studi di diversi Autori, infatti, ci viene tramandato come il Santo di Vienna. E’ così popolare perché le reliquie di quel Santo sono custodite, in Francia, nella Chiesa di Sant’Antoine de Viennois[2]. La pronunzia francese della città di Viennois, nell’arco degli anni,
a mio avviso, ha tratto in inganno i primi studiosi, tanto che nella
traduzione francese-italiano-dialetto diventò Vienna, nulla a che
vedere però con la capitale austriaca. Nel nostro irsuto dialetto Sant’Antonio Abate è ancora oggi ricordato con la pronunzia francesizzata Sant’Anduèn. Il Santo era tanto radicato nelle nostre tradizioni paesane che intorno a Costui sono nati anche alcuni proverbi [Da Sand’Anduèn’masckr’ j-ssuen’ da Sant’Antonio Abate maschere e suoni, significando che hanno inizio i festeggiamenti di Carnevale. Infatti proprio il giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) inizia il periodo carnevalesco[3]. Egli fu venerato dal popolo, il quale faceva ricorso a lui contro la peste, lo scorbuto e contro tutti i morbi contagiosi. E tutti abbiamo sentito parlare o letto, almeno una volta, quali e quante malattie contagiose hanno dovuto combattere i nostri antenati nel corso dei secoli passati. Per quanto sopra la popolazione cegliese ricorreva a Sant’Antonio Abate contro le pestilenze qualche secolo prima che arrivasse nella nostra città il culto per San Rocco[4]. Secondo Francesco Diedo, Governatore di Brescia[5] Rocco sarebbe nato nel 1295 e morto nel 1327. Il Papa Paolo IV fece menzione nella Bolla “Cum a nobis” dell’appartenenza di Rocco al Terz’Ordine di San Francesco. Ma non è attestato da alcun documento. Una Messa propria di San Rocco appariva nel Messale Romano sotto la data del 16 agosto alla fine del XV secolo[6]. Lo sviluppo del culto popolare per Sant’Antonio Abate fu dovuto alla sua fama di guaritore dell’Herpes Zoster, malattia contagiosa, ancora oggi molto diffusa, meglio conosciuta come fuoco di Sant’Antonio. E quel Sant’Antonio, è proprio il nostro Santo. L’origine di questa tradizione risale alle molte miracolose guarigioni che si verificarono durante un’epidemia che infestava la Francia in occasione della traslazione delle reliquie del santo da Costantinopoli in Europa. In onore di Sant’Antonio Abate, la sera antecedente la ricorrenza della festa (17 gennaio) venivano e tuttora vengono accesi per le strade delle città grossi falò. Questa consuetudine, ancora oggi, è molto sentita e diffusa a San Vito dei Normanni, Francavilla Fontana, San Michele Salentino, Brindisi, e in tutti i paesi del versante meridionale brindisino, soprattutto nel basso Salento; da noi è ormai passata nel dimenticatoio e me ne dispiace fortemente. Questa è la dimostrazione che le giovani generazioni non conoscono proprio niente della storia dei loro antenati. Si usa dire, infatti, passat’ u sand’, passat’a fest’, ossia, passato il santo, passata la festa, ovvero, scomparsa la Cappella, sono sparite anche le antiche e belle tradizioni paesane. La popolarità del culto favorì la pia consuetudine di intitolare al Santo, ospedali, chiese, confraternite, edicole votive. Per il motivo di cui sopra, nell’odierna Piazza Sant’Antonio, nel XIV secolo, a mio parere e non solo, insisteva un complesso ospedaliero extra moenia intitolato proprio a questo nostro Santo[7]. Cursìa Sant’Antonio, infatti, ha proprio il significato di Corsìa di ospedale[8]. Il culto per Sant’Antonio Abate, in Oriente, risale al IV secolo, in Occidente al V, a Ceglie, in particolare, per quanto di nostra conoscenza, come già detto alla fine del secolo XI. Sant’Antonio Abate, inoltre, è il protettore degli animali domestici. Il 17 gennaio, infatti, sul sagrato delle chiese vengono benedetti gli animali e tra l’altro viene benedetto e distribuito anche il cosiddetto pane di Sant’Antonio da far mangiare agli animali domestici malati[9] con l’intento di una pronta guarigione, da non confondere, però, con il Pane di Sant’Antonio da Padova detto pane dei poveri. Una pia devozione questa ed istituzione assistenziale di notevole rilevanza sociale consistente in una elemosina distribuita ai poveri sotto forma di pane. La benefica opera a sollievo dei poveri ebbe sviluppo alla fine del XIX secolo per merito di Louise Bouffier di Tolone in seguito ad una speciale grazia da lei ottenuta. Un documento del notaio Tommaso Lamarina[10], datato 12 aprile 1683, riporta l’inventario dei beni immobili (Grància o Beneficio) di proprietà della Cappella di Sant’Antonio di Vienna situata dentro la Terra di Ceglie. Beneficiario di quei beni era il clerico Giuseppe Oltavy della Terra di Turris Paludarum (odierna Torrepaduli in provincia di Lecce), diocesi di Ugento. Per Grància o Beneficio si intende una organizzazione benedettina di persone e di beni economici, costituita inizialmente da edifici rurali sui terreni di un’abbazia per la custodia di prodotti agricoli, ed in seguito trasformata, per il lavoro manuale dei monaci stessi, in una piccola comunità monastica governata da un rappresentante dell’abate e una unità economica (fattoria) amministrata dal monaco “granciere”, ampliata dalla popolazione laica dei salariati, contadini, pastori, piccoli artigiani, diede origine a villaggi rurali[11]. A Ceglie esiste tra l’altro un rione con questa denominazione abbàsc’u’benefic’ oltre che una contrada rurale situata tra quelle di Donna Lucrezia, Montefocaro e Carbone. In seguito, nel 1748, quel Beneficio veniva goduto, invece, dal Cappellano rev. don Giuseppe Manfredi di Scorrano (LE), il quale era stato investito da S.Em. il Cardinale Francesco Pignatelli[12]. Costui fu, tra l’altro, arcivescovo di Napoli (Napoli 6.2.1652 – ivi 5.12.1734), arcivescovo di Taranto dal 27.9.1683, Nunzio Apostolico in Polonia fino al 1703. Nulla però a che spartire con la baronessa di Ceglie Cornelia Pignatelli (+29.01.1592), moglie di Giovanni Giacomo Sanseverino, IV conte dell’allora Saponara (ora Grumento Nova in provincia di Potenza) e barone di Ceglie. Il Cardinale apparteneva ai Pignatelli di Napoli, mentre la nostra baronessa era dei Pignatelli di Marsico Nuovo, altro ramo non meno importante di quella nobile famiglia[13]. Nella Chiesa di Sant’Antonio Abate, così come nelle altre (Chiesa Madre o Matrice, San Martino, Ognissanti e Annunziata), nei primi anni, si celebrava l’Eucaristia con il Rito greco, dovuto al fatto che la cultura bizantina era ancora molto radicata nella tradizione locale. Nonostante che nei primi decenni del secolo XI, avventurieri normanni si erano spostati in cerca di fortuna verso l’Italia meridionale, dove arabi e bizantini erano in perenne conflitto. Nelle aree dove i normanni riuscirono a stabilirsi crearono forti organismi politici che lasciarono tracce durature sull’assetto politico e territoriale. I risultati più importanti e duraturi li ottennero i membri della famiglia reale degli Altavilla. Uno di questi di nome Accardo, nel 1100, era signore e padrone di Ostuni, liciensis et hostunensis dominator, liciensis dominus[14]. Padrone e signore del castillo Cilij, invece, era un certo Pagano[15]. Al contempo le varie tribù vichinghe iniziarono ad abbracciare il cristianesimo. La latinizzazione avviata dunque dai Normanni sotto il pontificato di Gregorio VII (1073-1085) ridusse progressivamente la presenza del clero greco. Di quello secolare abbiamo memoria in un atto di Costanza del 1195 che lo esentava, insieme a quello latino, dai diritti feudali che, per quanto ricevesse la conferma dei propri diritti nel 1192 da Tancredi, passava in pratica al rito latino nel 1202 con un atto di concordia con l’arcivescovo di Bari Doferio. Nel 1232 per altro l’arcivescovo di Bari Marino Filangieri aveva scomunicato i greci [16]. Come molte altre chiese cittadine (San Rocco, San Gioacchino, l’ex
Chiesa dei Cappuccini, la Chiesa di San Paolo della Croce), anche questa
è orientata ad Oriente, perché secondo l’antica tradizione “...usavano
i primi cristiani di rivolgersi dalla parte dell’oriente a pregare
Dio, ed erano persuasi che questa pratica venisse dagli Apostoli
………...........I Padri assegnano diverse mistiche ragioni di tale
uso….……[17].
L’ultimo Cappellano dell’antico Tempio di Sant’Antonio Abate, in Ceglie Messapica fu don Massimino Gioia (1942), il quale nel 1904 dello scorso secolo, l’aveva ristrutturato a sue cure e spese. Ecco l’iscrizione in lingua latina riportata per l’occasione su lapide: “HANC AEDEM S. ANTONII ABATIS IAM
PRIDEM IN PRECARIUM USUM CONVERSAM SAC. MAXIMINUS GIOIA RECUPERAVIT
RESTITUIT IN INTEGRO ATQUE EXORNAVIT AN. CHRISTIANO MCMIV”. Traduzione: “Questo Tempio di Sant’Antonio Abate già da molto tempo volto a un uso precario il sacerdote Massimino Gioia riportò alle condizioni di prima, restaurò completamente e abbellì nell’anno di Cristo 1904” [18]. La Cappella, una volta abbandonata, passò a privati che nella seconda metà dello scorso secolo fu trasformata in ingresso per un elegante e rinomato complesso di ristorazione. I proprietari di quella struttura possono essere fieri ed orgogliosi di vantare la loro OSTERIA DEI SANTI tra le più antiche della Puglia. [1] R.Antelmy, Ceglie Messapica, Accenni sulla sua antichità Oria 1990, p.90 [2]Bibliotheca
Sanctorum, Roma 1962, p.
114; Enciclopedia Cattolica,
Città del Vaticano, Roma 1948, vol. I, p. 1539; F. Novati, Sopra un’antica storia lombarda di Sant’Antonio di Vienna
in Miscellanea d’Ancona, Firenze 1901; F.D’Elia, Il falò di Sant’Antonio, Note di folklore salentino, Martina
Franca 1912; R. Corso, Il
porco di Sant’Antonio in Folklore italiano,
I (1925), p.316 e segg; P. Toschi, La
poesia popolare religiosa
in Italia, Firenze 1935, pp.107-112. [3]Per
le parole antiche, Proverbi
cegliesi, Oria 1993, p.10,
a cura di CRSEC/21. [4]Bibliotheca
Hagiografica Latina antiquae et mediae aetatis.
[5]Vita Sancti Rochi in BHL, II, p.1055, n°7273 [6]Biblioteca
Capitolare del Duomo di Monza, Bibliotheca
Sanctorum, Roma 1962, vol. XI, p.264. [7]
vd. www.ideanews.it/antologia/elia/cursia Sant’Antonio [8]G.Battisti-G.Alessio, Dizionario Etimologico Italiano, Istituto di Glottologia, Università degli Studi di Firenze, Firenze 1968 [9]Bibliotheca Sanctorum, cit. p.115-116 [10]Archivio di Stato di Brindisi [11]Vocabolario
della lingua italiana,
Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani,
Roma 1987, vol. II, p .679 [12]don Gianfranco Gallone, La Chiesa e la devozione di San Rocco a Ceglie prima del ‘900, in E’ ancora l’alba, Oria 1999, p. 54 [13]P. Elia, Ceglie Messapica, La Storia, Latiano 2000, p. 59 [14]E. Cuozzo, Fonti per la Storia d’Italia, Catalogus Baronum, Commentario, Istituto Storico Italiano del Medioevo, Roma 1984, p.20, n°58, p.39, n°135, p.58, n° 226, p. 170, n°627 e p. 450 [15]ASBr,
Notaio Tommaso Lamarina, depositario degli atti del notaio Francesco
Paolo Lamarina. Trattasi di un documento in latino; il Prof. Damiano
Mevola, Docente di Storia e Letteratura latina presso l’Università
degli Studi di Lecce, ne ha curato, cortesemente, la traduzione [16]F. Porsia, Vita economica e sociale, in Dalla conquista normanna al ducato sforzesco, a cura di F. Tateo, Bari 1990, vol. II, p. 196 [17]Biblioteca
Capitolare del Duomo di Monza, A.B. Bergier, Dizionario
Enciclopedico della Teologia, della storia della Chiesa, degli
Autori che ha scritto intorno alla Religione, dei Concilii, Eresie,
Ordini Religiosi, ecc. Tradotto in italiano da Padre D. Clemente
Biagi, Venezia 1827, Edizione originale 1724, Tomo I e VII [18] G. Magno-P. Magno, Storia di Ceglie Messapica, Fasano di Puglia 1992, p.397-398, II parte a cura di Pietro Magno.
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