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Il rifiuto di licenza edilizia, poi annullato, non dà risarcimento
Annullamento del diniego di concessione non sempre comporta il
risarcimento
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente: SENTENZA
sul ricorso proposto da: contro
COMUNE di CEGLIE MESSAPICA, in persona del Commissario Straordinario pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma ... , presso l’Avvocato P.M.,
rappresentato e difeso dall’avvocato C.C., giusta mandato in calce al
controricorso;
avverso la sentenza n. 330/01 della Corte d’Appello di LECCE, depositata il
11/06/01; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 7.3.1992, E.G. conveniva in giudizio
dinanzi al Tribunale di Brindisi il Comune di Ceglie Messapica chiedendone la
condanna al risarcimento dei danni nella misura di lire 400.000.000.
Costituitosi in giudizio, il Comune convenuto resisteva alla domanda,
deducendo il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria e
l’infondatezza della domanda nel merito. Avverso detta ordinanza E.G., previa rinuncia alla pronuncia della sentenza, proponeva appello dinanzi la Corte d’appello di Lecce, quantificando il danno in L. 1.174.691.969 o, in subordine, in L. 885.680.987. Il Comune di Ceglie Messapica resisteva al gravame.
Con sentenza in data 17.5.2001, depositata in data 11.6.2001, la corte
d’appello summenzionata respingeva la impugnazione, osservando che nella
condotta della P.A. non si ravvisavano gli estremi del dolo o della colpa.
Il Comune di Ceglie Messapica ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia,
prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio. Il ricorso è infondato.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la impugnata sentenza non avrebbe
tenuto minimamente conto del fatto che il rapporto con l’amministrazione
comunale era stato caratterizzato da ben due sentenze del T.A.R., delle quali
la prima (n. 475/87), ritenute fondate le censure di carattere sostanziale
dedotte dal ricorrente, non si era limitata ad una semplice pronunzia di
illegittimità del silenzio rifiuto tenuto dal Sindaco (per il fatto che
occorreva un provvedimento espresso), ma aveva affermato che questi era
tenuto a rilasciare la richiesta licenza edilizia. Il T.A.R. aveva, infatti, ricostruito la vicenda edilizia evidenziando che il progetto del ricorrente era stato esaminato dalla Commissione Edilizia Comunale, che aveva conclusivamente espresso parere favorevole una prima volta con verbale n. 178 del 17.3.1976 e successivamente, confermando tale avviso, nella seduta del 5.1.1979.
Rilevava ancora il T.A.R. che in tale ultima occasione la Commissione
Edilizia Comunale, aveva anche motivato il proprio giudizio giustificando
l’eccesso di cubatura con la disponibilità dell’area rimasta scoperta da
vincolare a verde pubblico. Le richiamate pronunce del giudice amministrativo supporterebbero, secondo il ricorrente, un giudizio di colpevolezza dell’amministrazione nel suo comportamento complessivo, non essendosi questa conformata a regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Deduce, altresì, il ricorrente che nel corso del presente giudizio né in primo grado né in secondo grado sarebbe stata contestata la edificabilità del suolo di sua proprietà né sarebbe stata formulata una qualche considerazione in relazione alla giustezza del provvedimento di diniego opposto dal Sindaco e ritenuto illegittimo dal T.A.R. La corte d’appello, come risulta dalla sentenza impugnata, ha esaminato la fattispecie dedotta in giudizio alla luce del nuovo orientamento introdotto dalla sentenza n. 500 del 1999 delle sezioni unite di questa Corte, che ha riconosciuto anche il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, e che, in particolare, per quanto riguarda il requisito della colpa, ha affermato che non è invocabile il principio secondo cui, nel caso di esecuzione volontaria di un atto amministrativo illegittimo, la colpa della struttura pubblica è in re ipsa, richiedendo, invece, l’accertamento di detto estremo - da riferirsi non al funzionario agente, ma alla P.A. come apparato - una indagine, non limitata al solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, ma diretta a verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, costituendo queste limiti esterni alla discrezionalità amministrativa. Alla stregua dell’insegnamento che precede la corte di merito ha valutato nel suo complesso il comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione, non ignorando, come affermato dal ricorrente, la prima sentenza del T.A.R, ed il parere espresso dalla Commissione Edilizia Comunale, ma attribuendo loro, al fine dell’accertamento della colpa, una valenza diversa da quella pretesa dal ricorrente.
La corte di merito, dopo aver evidenziato che il provvedimento del Sindaco di
diniego della licenza era stato annullato dal T.A.R. per difetto di
motivazione e che il motivo, per cui era stato annullato, non ne avrebbe
impedito la reiterazione su basi di spessore più solido nel senso voluto dal
T.A.R., ha osservato che, come riconosciuto nella stessa sentenza del T.A.R.,
la Commissione Edilizia Comunale aveva espresso parere favorevole dopo un
sofferto iter amministrativo avendo rilevato un eccesso di cubatura
rispetto alle previsioni del piano di lottizzazione, che aveva giustificato
nel verbale conclusivo “con la rimanente area da vincolare a verde privato”.
Detto sofferto iter amministrativo, in assenza di altri elementi probatori, “non potendosi certo utilizzare le caratteristiche della tattica difensiva prescelta dal legale nel corso del primo giudizio amministrativo”, non consentiva di ravvisare nella condotta della P.A. (intesa come apparato) gli estremi del dolo o della colpa, atteso che la situazione di fatto “poneva gli atti dell’E.G. fuori di una ordinata, regolare, conforme linearità, sí da ingenerare “perplessità” nella stessa Commissione ed anche nel Sindaco (come si può desumere dal silenzio serbato in un primo tempo), inducendolo, alla fine, ad adottare un più deciso e netto provvedimento di reiezione”. Osserva il collegio che detta motivazione appare adeguata, logica e conforme a diritto, avendo la corte di merito, come si evince da quanto sopra esposto, esaminato entrambe le menzionate decisioni del T.A.R. (peraltro, per quanto riguarda la prima, alla quale il ricorrente attribuisce particolare rilievo, devesi osservare che non è stata riprodotta nel ricorso nel suo contenuto integrale - come avrebbe richiesto il principio dell’autosufficienza del ricorso per Cassazione - non consentendo così a questa corte di poterne esaminare, al fine di valutarne la decisività, l’effettivo contenuto sia con riferimento agli accertamenti di fatto che alle valutazioni espresse dal giudice amministrativo) e considerato tutte le circostanze rilevanti al fine dell’accertamento della colpa della P.A. Attraverso tale completa disamina la corte di merito è pervenuta alla conclusione che la condotta dell’amministrazione non potesse considerarsi tenuta in violazione dei principi di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione dinanzi ad una richiesta di rilascio di licenza edilizia per un progetto che superava i limiti di cubatura previsti dalla convenzione di lottizzazione (situazione che aveva indotto il Sindaco a serbare il silenzio, poi dichiarato illegittimo, sulla richiesta di licenza edilizia), ed in una situazione in cui la Commissione Edilizia Comunale aveva ritenuto dopo un sofferto iter amministrativo (di cui da atto lo stesso T.A.R., come evidenziato dal giudice a quo) di poter superare l’ostacolo, dando parere favorevole, solo considerando la possibilità di vincolare la rimanente area a verde privato. Tale conclusione appare condivisibile, in considerazione del fatto che la situazione obbiettiva era tale da ingenerare, come affermato dalla corte di merito, perplessità nella stessa Commissione ed anche nel Sindaco, avendo ristante presentato richiesta di concessione per la edificazione di una costruzione, che non rispettava i limiti di cubatura, ed avendo la Commissione Edilizia Comunale, non senza contrasti interni, ritenuto di poter ovviare a tale ostacolo “con la rimanente area da vincolare a verde privato” senza, peraltro, che risulti che il richiedente avesse proposto tale eventuale soluzione.
Ora, se si può fondatamente ritenere che la esistenza di una lottizzazione
dia luogo, in astratto, ad una qualificata aspettativa del privato di
realizzare le opere previste, tale aspettativa non può più ritenersi, in
concreto, qualificata qualora il privato pretenda di realizzare opere che non
rispettino i limiti di edificabilità anche se, come nel caso di specie, la
Commissione Comunale Edilizia abbia espresso parere favorevole indicando,
dopo aver superato comprensibili contrasti interni, un’ opinabile soluzione
per superare l’ostacolo. In una situazione non suscettiva di determinare nel richiedente un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, in una situazione, cioè, che, secondo la disciplina applicabile, non consentiva di prevedere, secondo un criterio di normalità, un esito favorevole e, soprattutto, in una situazione fattuale, creata dal richiedente, atta ad ingenerare nella pubblica amministrazione legittime perplessità, non si può fondatamente sostenere che il provvedimento di diniego della licenza edilizia sia stato adottato in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buon andamento, alle quali deve conformarsi l’azione amministrativa. Per quanto precede il ricorso deve essere respinto. Data la particolare complessità della materia, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2004. Depositato in Cancelleria il 23
luglio 2004
Pubblicato su Ideanews sabato, 11 settembre 2004
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Il provvedimento di diniego della licenza edilizia, annullato dal giudice amministrativo per difetto di motivazione, non comporta il risarcimento del danno all’interessato se il diniego non risulti lesivo delle regole di imparzialità, di correttezza e di buon andamento, alle quali deve conformarsi l’azione amministrativa.
E' quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n.13804 depositata il 23 luglio 2004.
(Altalex, 1 settembre 2004)