Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

Ceglie, spaccato di vita cittadina

di Pasquale Elia 

            

        IL  giorno del bucato (cof-n'), non molti anni fa, era una giornata particolarmente faticosa per la padrona di casa. Tale operazione si effettuava, in genere, alcuni giorni prima nella ricorrenza di particolari festività (Natale, Pasqua, San Rocco).

Chi era sprovvisto, per esempio, di pozzo (cistèrn') in casa, doveva, di buon mattino, rifornirsi d'acqua dalla pubblica fontana o, dalla cosiddetta acquara di San Rocco (pozzo dell'omonima chiesa), trasportandola a braccia con un recipiente in creta o in alluminio zincato meglio conosciuto nel nostro dialetto come menz'. Questo vocabolo potrebbe derivare, con molto attendibilità, dal nome della divinità dei Messapi MENZANA "pluvio". Sallentini apud quos Menzanae Iovi dicatus vivos (sc. equus) conicitur in ignem (Paul ex Fest. p.190 L, s. October equus), (G. SEMERANO, Le Origini della Cultura Europea, Firenze 1984, vol. I, p.286).

Per questa operazione erano obbligatori più viaggi per trasportare l'acqua necessaria per riempire a sufficienza u tin' (recipiente cilindrico in legno munito di due manici per l'eventuale trasporto) o, u limm' (recipiente in creta smaltato senza manici). Con sapone morbido (consistenza marmellata) di colore marrone scuro, confezionato spesso in casa (con mòrchia d'olio d'oliva, cenere e calce in polvere), oppure acquistato (gr.50) dalla cosiddetta putèa, venivano lavati tutti i panni sul lavatoio, in dialetto lavatùr'.  Nel frattempo sul fuoco a legna nel camino (non c'era ancora il gas), in un pentolone (busunètt') posto sopra a nu' tripièd' veniva riscaldata altra acqua.

U' lavatùr', era formato da un pezzo di legno rettangolare scanalato sul davanti (tipo gradini) con la parte superiore sagomata dove poggiava il ventre della massaia.

Per pura curiosità Ceglie era rinomata per la produzione di quel tipo di sapone. Esso era commercializzato in tutti i paesi vicini. Esiste ancora nella nostra città la famiglia che da questa industria ha mantenuto il soprannome (li sapunàr').

I panni così lavati e strizzati venivano adagiati ben stesi e con cura, uno sopra l'altro, in un contenitore (grast') in creta a forma di cratere munito di un foro alla base, sigillato da un pezzo di legno appositamente sagomato detto pruvett' o di altro materiale (stoffa), chiamato futùr'. Quando la grast' era stata riempita, sull'ultimo strato dei panni veniva adagiata una tela detta cinalir', quindi veniva cosparsa cenere raccolta al momento, si versava acqua calda fino al completo riempimento del recipiente, o a copertura della stessa biancheria.

Il giorno successivo, sempre di buon mattino, si toglieva la pruvett', si recuperava quell'acqua (lissìj) che la si utilizzava per lavare i panni colorati.

A questo punto la biancheria veniva risciacquata e stesa a sciorinare al sole appesa ad una corda tirata da una parte all'altra della strada, oppure, ad un filo di ferro steso da un balcone all'altro (ancora in auge in alcune zone della vecchia Ceglie). Usanza esclusivamente meridionale (vedi Napoli, quartieri spagnoli). Quei panni risultavano, poi, bianchi e profumati di pulito tanto da fare l'invidia all'odierna massaia che utilizza la lavatrice e i detersivi moderni.

La successiva operazione di stiratura veniva fatta con un ferro da stiro alimentato a carbone, cioè si riempiva il ferro di carboni ardenti e quando lo stesso risultava ben caldo poteva essere utilizzato per quella operazione.

 

Torna all'indice dell'antologia