Ceglie,
l'Universitas e l'ordinamento istituzionale
di Pasquale Elia
Il termine
Universitas (Comune) ebbe origine nel medioevo ed indicava l'organizzazione giuridica
nella società civile del Comune alla quale si era pervenuti per
trasformazione interna all'antico municipio. Infatti, l'ordo
romano fu sostituito dal Parlamento,
per cui ogni città poteva considerarsi una radunanza di persone su un medesimo luogo, aventi interessi comuni
(L. LOMBARDI, Gli usi civici nelle
provincie napoletane, Cosenza 1882, p.24).
Le città dell'Italia meridionale si distinguevano in demaniali, se facenti parte del regio demanio, e, baronali,
se, invece, facenti parte di feudi concessi a baroni.
L'organizzazione amministrativa, tuttavia, dei due tipi di città,
non presentava notevole differenza.
Il potere deliberativo era formalmente esercitato dal popolo
riunito a parlamento
o rappresentato dal Consiglio.
Il Consiglio
organo più ristretto di rappresentanza popolare era incaricato
dell'ordinaria amministrazione della città (F. GALASSO, La
legislazione statuaria dell'Italia Meridionale, Roma 1971, ristampa
del 1929).
Facevano parte del Consiglio, il Sindaco,
gli Eletti ed il Rappresentante
dell'autorità governativa. I suoi membri avevano l'obbligo di
partecipare alle riunioni consiliari.
I sistemi di scelta dei suoi membri e la sua composizione
variavano da luogo a luogo.
Il parlamento
era costituito dall'Università
riunita.
Erano
chiamati ad intervenire, oltre i componenti del Consiglio, tutti i
cittadini di qualsiasi grado e condizione, in realtà, poi, non tutti
intervenivano.
L'ordine di convocazione - mandatum - era emanato dall'autorità cittadina nelle cui mani
si trovava, in quel momento, l'amministrazione.
Il permesso - licentia - era dato, di regola, dal Rappresentante regio.
C'era un luogo
solito dove il parlamento svolgeva le sue adunanze. Di norma era
la Chiesa Maggiore o la piazza antistante, oppure il teatro della città.
Il parlamento era convocato al
tocco di campane o per voce del banditore, di solito il giorno
precedente. Per quanto riguarda Ceglie esso veniva convocato per
voce del banditore, il quale girava
per le strade al rullo di un
tamburo e ancora prima al suono
di una tromba, quindi, urlava l'annuncio con una cantilena
particolare.
Le sedute si svolgevano, normalmente, nei giorni festivi, con
editti pubblici, come nel caso di elezione del governo cittadino.
Alle adunanze del parlamento partecipava anche il Capitano di Giustizia, in
qualità di organo di Polizia locale, preposto a sedare risse e tumulti
popolari.
In tutti gli organismi rappresentativi e decisionali, anche nel
parlamento di Ceglie, erano escluse le donne, oltre agli amministratori
che non avevano reso il conto economico riferito alla precedente attività
svolta.
Il parlamento esercitava la sua giurisdizione su tutte le
iniziative sociali ed economiche della comunità, tra l'altro, sceglieva
ed eleggeva i suoi delegati e i suoi rappresentanti, fra cui il Sindaco,
gli Eletti, i Razionali
ed i Procuratori presso i diversi tribunali ed Uffici del Regno.
Le riunioni del parlamento venivano dichiarate valide solo se vi
assistevano i 2/3 delle famiglie che solitamente intervenivano e le
decisioni erano considerate eseguibili se approvate dalla maggioranza
dei presenti.
Tra i membri del parlamento veniva scelto il Cancelliere,
il quale provvedeva a verbalizzare i provvedimenti adottati nelle sedute
dei due organi collegiali. Non
erano ammessi, inoltre, coloro che erano rimasti debitori nei confronti
dell'Università e coloro che non avevano raggiunto la maggiore età (21
anni).
Tutta l'Università adunata in parlamento aveva la competenza di
fare il catasto, deliberare dazi, provvedere alla difesa della città,
alienare beni pubblici, provvedere alla riparazione delle mura,
concludere patti di amicizia o di tregue con le città vicine, aggregare
la città ad altre città, deliberare richieste da presentare al re,
discutere e deliberare gli statuti cittadini (N.SANTAMARIA, I
feudi. Il diritto feudale e la loro storia nell'Italia Meridionale, Napoli
1881; G.GALASSO, Mezzogiorno
medioevale e moderno, Torino 1975; idem, Il
Mezzogiorno nella storia d'Italia, Firenze 1977; A.MASSAFRA, Il
Mezzogiorno preunitario. Economia, società e istituzioni, Bari
1988).
Il Sindaco custodiva una delle tre chiavi della cassa
dell'Università. Le altre due chiavi erano custodite, una dall'esattore
e l'altra da un deputato eletto dal parlamento. Il Sindaco aveva
l'obbligo di rendere conto al successore di tutte le operazioni
finanziarie effettuate nel corso del mandato, doveva occuparsi delle
esazione dei dazi, aveva il compito di interpretare e difendere le
istanze dei cittadini, coordinava gli indirizzi di programmazione dello
sviluppo della città.
La carica di Sindaco a Ceglie aveva la durata di UN intero anno. Il sindaco era coadiuvato dagli Eletti, che
variavano di numero e funzioni.
Gli Eletti duravano in carica per poco tempo; nell'accettare
l'incarico dovevano giurare, insieme al Sindaco, di comportarsi con
lealtà e fedeltà. Anche gli Eletti rendevano conto della loro
gestione.
Il primo Eletto era l'autorità immediatamente inferiore a quella
del Sindaco e aveva incarichi importanti.
Il secondo Eletto seguiva il primo e per quanto le sue
attribuzioni fossero poche e di scarsa importanza, diventavano
importantissime quando era chiamato a sostituire il sindaco o il primo
Eletto.
Il primo Eletto era incaricato della Polizia urbana e rurale,
delle contravvenzioni ai regolamenti di polizia urbana e rurale, delle
contravvenzioni sui pesi e sulle misure contro i venditori che facevano
uso di pesi o misure non zeccate o mancanti (i pesi, le misure e le
stadere dovevano essere controllate e punzonate periodicamente. Norma
che è rimasta in vigore fino a qualche decennio fa) contro coloro che
vendevano commestibili senza il permesso dell'autorità pubblica o ad un
prezzo maggiore dell'assisa (altrimenti
detto calmiere. Prezzo massimo
di vendita al minuto di derrate alimentari e prodotti di largo consumo,
fissato dalle autorità in situazioni di emergenza). Era ancora
incaricato dell'esercizio di Pubblico Ministero, tanto presso il Giudice
regio del circondario, quanto presso il Sindaco quando questi esercitava
la locale giurisdizione delle riscossione delle multe.
I Razionali
o Sindacatori erano incaricati di esaminare i conti presentati dal
sindaco uscente e dai suoi collaboratori e di dichiararli regolari o, in
caso contrario, di richiedere
l'incameramento di beni degli amministratori a copertura di ammanchi
o delle irregolarità contabili
riscontrate. Era una specie
dell'odierno Collegio Sindacale delle società. (P.S. LEIGHT, Storia
del diritto italiano, Le fonti, Milano 1966, p.177).
Nelle vertenze insorte tra l'Università e il Feudatario,
interveniva, abbastanza tempestivamente, il Re, il quale affidava il
verdetto al Sacro Regio Consiglio o Camera
di Santa Chiara. Esso era una specie dell'odierna Corte di
Cassazione (G.GALASSO (a cura di), Benedetto
Croce, Storia del Regno di Napoli, Azzate 1992, p.197).
I feudatari, nel corso dei secoli, avevano acquisito un potere
che finiva con il prevalere sui diritti dei cittadini. Coloro che
osavano ribellarsi finivano per marcire nelle prigioni.
Le
Costituzioni del Regno di Federico II, tendevano a mitigare
alcuni abusi feudali. La feudalità degenerò con gli Angioini, con gli
Aragonesi e più ancora con i Viceré spagnoli.
Ai baroni furono concessi alcuni privilegi fra cui la
Giurisdizione.
Pur di spremere denaro dai sudditi, i Feudatari, oltre alle tasse
in uso ovunque, inventarono i più assurdi e fantasiosi balzelli.
Nonostante che i feudi fossero stati dichiarati dalle Costituzioni
Federiciane semplici Diritti di regalia, di cui i baroni erano solo usufruttuari, questi
finirono per considerare il Possesso
feudale alla stregua della proprietà
privata ed enfiteutica. Con i Borboni si ebbe un'azione molto decisa
per reprimere la prepotenza feudale e reintegrare il potere regio
nell'esercizio delle sue migliori prerogative.
Con l'arrivo dei Normanni, i feudi si moltiplicarono a causa
della necessità di premiare i capi militari che avevano partecipato
alla conquista dei territori appartenuti ai Longobardi e ai Bizantini.
Sotto la monarchia normanna, il feudo fu anche disciplinato e si sancì
il principio che il dominio eminente sul Demanio Regio era riservato al
re. Fu, quindi, introdotta la distinzione fra terre demaniali,
sottoposte direttamente al dominio regio (godevano di privilegi e
franchigie) e terre feudali, affidate ai Baroni che, a loro volta,
potevano affidarle in suffeudo
ai loro vassalli.
Funzionario incaricato per l'edilizia, la pulizia della strade e
la distribuzione delle acque era il Portolano, mentre
l'ufficio e le funzioni del portolano era la Portulania. Incaricato per l'ordine pubblico il Mastro
Giurato. Esso veniva eletto annualmente dalla comunità. Era un
ufficiale di polizia responsabile dei delitti avvenuti nel territorio di
competenza, e gli Ordinati, rappresentanti del Comune per affari speciali presso
la Curia del Re (G. RACIOPPI, Storia
dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma 1889, vol. II,
p.164).
Il Giudice annuale incaricato del controllo dei prezzi di mercato
si chiamava Catapano,
che con gli anni diventò Assessore
all'Annona o di Piazza.
Il Catapano, all'origine era un governatore bizantino investito
di poteri civili e militari. La denominazione si conservò con i
Normanni e gli Spagnoli per indicare i funzionari preposti alla
sorveglianza dei mercati e del commercio. Allorquando trascurava di
compiere il suo dovere era lecito a chiunque esporre querela nei suoi
confronti coram Magnifico Capitaneo o Mastrogiurato.
Il 15 febbraio 1806 Giuseppe Bonaparte, entrò a Napoli e assunse
il governo del Regno. I patrioti del 1799 pur rimanendo assertori dello
Stato repubblicano, non contrastarono il governo napoleonico che, pure a
parole, s'ispirava ai principi della Rivoluzione francese.
Il Governo francese innovò profondamente l'assetto dello Stato,
mettendo mani ad importanti riforme quali l'introduzione del Codice
napoleonico, la riforma dell'Amministrazione comunale, l'abolizione del
feudalesimo.
Con una serie di leggi e decreti venne effettuata una nuova
ripartizione amministrativa del Regno. Furono, infatti, soppresse le Regie Udienze, e furono
istituite le Provincie, i Distretti, e i Circondari.
L'Amministrazione comunale fu modificata con la creazione del Decurionato che sostituiva
i parlamenti delle Università. Esso era un organo decisionale più
snello perché costituito da un numero ristretto di elementi eletti per
sorteggio (bussolati), ma sottoposto ad un rigoroso controllo dell'Intendente
provinciale, il quale non era altro che il rappresentante del potere
regio.
Del Decurionato potevano far parte solo gli iscritti nella lista degli eligibili (ASBr.,
Conclusioni decurionali, Agosto
1812, b.9, fasc.3, cc. 28/R-33/V), approvata dagli Intendenti.
Il potenziale decurione doveva avere una rendita annua imponibile
non inferiore a 24 ducati, poteva essere anche analfabeta, ma insieme
agli altri colleghi (analfabeti) poteva costituire solo i 2/3
dell'intero organo collegiale (con la legge 12.12.1806, la percentuale
fu ridotta ad 1/3).
I Decurioni erano tre per ogni 1.000 abitanti per i Comuni di
prima e seconda classe. Ceglie per il numero degli abitanti che
ammontava a circa 7.600 era considerato, all'epoca, Comune di prima
classe.
Le funzioni del decurionato assorbirono quelle che, in
precedenza, erano esercitate dal parlamento, con l'obbligo, da parte dei
decurioni, di riunirsi almeno una volta al mese. Il primo verbale del
decurionato cegliese risale al 4 settembre 1806. La riunione fu tenuta
nella chiesa di San Domenico.
Il Decurionato, con l'intervento del Sindaco, del Cancelliere
comunale e del Parroco formava la Lista di leva, proponeva alle autorità competenti le guardie
urbane ordinarie e supplenti. In materia di beneficenza proponeva, per
terne, ai Consigli degli ospizi i membri e i cassieri. CONSIGLIO DI INTENDENZA
L'Intendenza fu istituita con legge 8 agosto 1806 n°133, che
impartiva norme per la divisione del Regno di Napoli in Provincie,
Distretti e Circondari, ponendoli alle dipendenze di Intendenti e
Sottintendenti.
La stessa disposizione legislativa prevedeva, inoltre, un Consiglio di Intendenza,
presieduta dall'Intendente, quale organo collegiale con funzioni
contenziose e consultive.
La struttura dell'Ente si articolava in tre divisioni
(amministrazione civile, finanziaria e di polizia) e rimase invariata
anche dopo l'emanazione della legge borbonica 12.12.1816, n°570.
L'Intendente era gerarchicamente subordinato al Ministro
dell'Interno. Esercitava poteri di amministrazione attiva e di tutela
sui Comuni e sugli stabilimenti pubblici, alle cui richieste rispondeva
con provvedimenti.
Egli era un funzionario di alta polizia, disponeva della guardia
provinciale e, in caso di bisogno, dell'Esercito; presiedeva il Consiglio Provinciale di Leva, dirigeva
il Servizio
Sanitario, e vigilava sulla riscossione delle contribuzioni
dirette.
In ogni centro abitato fu istituito un Conciliatore,
il quale era nominato dall'Intendente fra una terna scelta dal
decurionato.
Venne, inoltre, istituita la Guardia
Civica (antenato del Corpo dell'odierna Polizia Municipale).
Con decreto 12.9.1860, n°32 mutò la denominazione in Governatorato. REGIA CORTE DELLA SOMMARIA
Magistratura competente a giudicare in materia fiscale. Nacque
nel 1444, ad opera di Alfonso I, con l'unificazione della Corte dei
Maestri Razionali con quella dei Presidenti della Camera dei Conti e
proclamata da re Ferrante Tribunale Supremo.
Questo organo esaminava i conti del Regio Tesoro, dei Ricevitori
Provinciali e di tutti gli altri funzionari ai quali era affidato denaro
pubblico, i rendiconti dei pubblici amministratori, i conti relativi
alle imposizioni fiscali delle Università.
In effetti tutelava le Università dagli abusi dei baroni e dei
governatori. Con decreto 31.12.1807, n°346, la definizione dei processi
pendenti venne demandata alla Commissione dei titoli e prosieguo delle
cause fiscali.
Aveva gli stessi compiti della odierna nostra Corte dei Conti. CORTI REGIE E BARONALI
Magistrature
locali e provinciali. Erano presiedute da un Governatore nominato dal Re
per le terre demaniali e dai Baroni per le terre di loro giurisdizione.
La sua successione avveniva mediante la presa di possesso della città,
ratificata a seconda dei luoghi, con atto notarile o in pubblico
parlamento, appositamente riunito.
Le Corti baronali con legge 2.8.1806, n°130, abolitiva della
feudalità, ritornarono al potere sovrano; le Corti regie, invece,
ebbero vita fino al 20.5.1808, quando la legge sulla organizzazione
giudiziaria istituì i Giudicati di Pace. BAGLIVA
Magistratura di grado inferiore. Fu istituita da Ruggero II nel
1140. Era composta da un Baglivo
di nomina regia, per le terre demaniali e di nomina baronale, per le
terre feudali, da un Giudice e da un Mastrodatti,
anche Mastro
d'atti. Il
Mastrodatti, nell'antico
Regno di Napoli, era il funzionario che, originariamente addetto alla redazione
e custodia degli atti, ebbe in seguito, prima della codificazione, anche
funzioni giudiziarie come supplente dei giudici. Spesso compiva
l'istruttoria di procedimenti penali.
I Baglivi svolgevano compiti di polizia urbana e rurale,
riscuotevano vari diritti, eseguivano multe ai proprietari di animali
che avessero arrecato danni ai fondi altrui o da quanti avessero fatto
uso di falsi pesi e misure.
La Bagliva si occupava anche delle cause criminali di lieve
importanza come quelle per offese, bestemmie e piccoli furti.
La bestemmia veniva considerata, all'epoca, una piaga sociale e,
pertanto, fortemente combattuta con tutti i mezzi. Un
articolo dello Statuto della bagliva recitava: Se qualcuno abbia bestemmiato il nome di Dio
onnipotente o della Vergine Maria paghi alla Curia un augustale, e per
gli altri Santi due Tareni. Si concede solo per la prima volta. Se,
invero, la bestemmia sia stata ripetuta si osservi il tenore della
Costituzione e delle Prammatiche del Regno.
E'
molto interessante sapere che le Prammatiche Aragonesi del 1481 e del
1483 prevedevano, per i bestemmiatori incalliti, la recisione
della lingua e il sequestro di 1/3 dei beni.
Le
baglive vennero abolite con legge 22.5.1808, n°153.
Il Decurionato cegliese il 26.4.1824, con sua delibera, trasforma
la bagliva in guardie
campestri
Le nostre Guardie
campestri sono, forse, le più antiche dell'Italia meridionale e
non solo.
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