Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

Sviluppo urbano del Borgo medioevale di Ceglie

di Pasquale Elia 

            

        La ricostruzione delle linee di sviluppo urbano di una città medioevale è possibile nei limiti delle testimonianze fornite dalle fonti disponibili. Tali testimonianze sono addirittura inesistenti per Ceglie antica e altomedioevale, ed è quindi necessario ipotizzare per avere una idea piuttosto approssimativa delle fasi di ampliamento del nucleo abitato.

            E' sufficientemente accertato che il nostro Borgo medioevale si sviluppa ai piedi del castello e, a causa della conformazione orografica del terreno, lungo la dorsale orientale della collina che ospita tutto il centro storico.

            Le abitazioni private suggeriscono l'immagine di complessi edilizi integrati per muri in comune e archi che sostengono altre costruzioni, e di vie molto strette sulle quali incombono sporgenze come balconi aperti o murati che tendono a toccarsi o a sovrastarsi. Tra questi aggregati abitativi si insinuano tuttavia orti e giardini e si aprono corti o piccoli spazi liberi.

                Nella seconda metà del secolo XIII l'immagine fisica di Ceglie appare come un complesso rustico-urbano disposto a semicerchio sul davanti del castello, che costituisce il fulcro della vita cittadina.

Le stradine del centro abitato si dipartono tutte dall'ingresso di quel maniero e tutte convergono nella Piazza principale della città di allora.

            All'interno della cinta muraria cittadina esistevano oltre alla Chiesa Madre o Matrice, più volte ristrutturata e ricostruita, pertanto sempre modificata, la Chiesa di Sant'Antonio Abate, la quale da una iscrizione (I.H.S.V.) posta sull'architrave all'ingresso della stessa potrebbe far risalire, la sua costruzione, addirittura a qualche decina di anni prima dell'Editto di Costantino (Milano 313), [cfr. Rocco Antelmy fu Achille, Ceglie Messapica, Accenni sulla sua antichità, Oria s.d., p.90]. Personalmente non concordo, ma cito per dovere dell’informazione. Inoltre la Chiesa della Santissima Vergine Annunziata, e quelle di San Martino e di Ognissanti.

            Le chiese di cui sopra, molto semplici nella loro struttura, sembrano infatti più abitazioni che luoghi di culto, erano di dimensioni molto limitate, intorno a venti metri quadrati all'incirca, forse anche più piccole, ma sufficientemente idonee alle esigenze religiose della comunità di quel tempo.

La Chiesa Madre fu, a cura dei coniugi Aurelia e Giovanni Sanseverino, utili signori e padroni della Terra di Ceglie, ristrutturata, nel 1521, e risulta che, intorno ad essa, ci fossero alcune case con giardini di proprietà della stessa Chiesa Madrice (ASBr, Platea seu campione di tutti li Beni stabbili di campagna, annui canoni sopra le case e case posside il Venerabile Convento di S. Domenico della Terra di Ceglie sotto il titolo di San Giovanni Evangelista ….....Francavilla A.D.MDCCXXXXIV, 1744, pagina con il titolo, Casamento sotto lorologgio Nanavecchia), mentre l'odierna Chiesa di San Domenico, secondo il cronista domenicano, fu costruita, nel 1688 (ASBr., Platea..cit. p.3).

Mi preme precisare che per Chiesa Madre o Matrice si intende quel Tempio per primo edificato sul territorio da cui poi sono stati generati gli altri (cfr. A.B. Berger, Dizionario Enciclopedico della Teologia, della Storia della Chiesa, degli Autori che ha scritto intorno alla Religione, dei Concilii, Eresie, Ordini Religiosi, ecc. Tradotto in italiano da Padre D. Clemente Biagi, Venezia 1827, Edizione originale 1724, Tomo I e VII – Biblioteca Capitolare Duomo di Monza). Alla luce di quanto sopra tutte le altre chiese cittadine sono tutte successive a quella.

 Al posto della Chiesa Madre ristrutturata nel 1521 c'era dunque un altro Tempio, ma  era di dimensioni molto ridotte, simile in tutto alle altre già citate.

Il castello, la cinta fortificata e le Chiese sono dunque gli elementi che caratterizzano la nostra Città. 

Sparse per le campagne circostanti troviamo, inoltre, l'Abbazia benedettina di Sant'Anna, le Cappelle di San Nicola (ora contrada), di San Giovanni (ora contrada), di San Pietro (ora contrada), di San Sebastiano (Masseria delle Scolepie) e della Madonna della Grotta (ora porcile) e, la Chiesa dei frati Cappuccini edificata tra la fine del XVI secolo e i primi anni del XVII, la quale fu poi abbattuta, nel 1965, per fare posto ad un'ala dell'Ospedale civico.

             Proprio verso la fine dell’Ottocento si hanno nuove grosse occasioni per l’urbanistica cegliese: la costruzione della Chiesa di San Gioacchino, di quella di San Rocco, del convento dei Padri Passionisti, ora Casa di riposo San Giuseppe, della Torre dell’orologio, del Macello comunale, e del Teatro comunale, oltre all’incremento dei rioni Mammacara, Moriggini, Chianchizze, ecc.

            Le case per abitazioni della Ceglie, quella cosiddetta nuova si rassomigliano tutte nella pianta e nella struttura, per cui presentano gli stessi inconvenienti, gli stessi difetti, cioè mancano di comodità, cattiva distribuzioni degli ambienti, difettano di luce. I fabbricati essendo senza cortile interno, ne viene di conseguenza che le camere intermedie sono buie, e quando le scale devono fare da soffitto alle camere poste al piano inferiore diventano ripide e con gradini molto alti pertanto molto pericolose. Non parliamo poi del meglio conosciuto terraneo (turràgn’), in cui la luce arriva solo dalla porta d’ingresso molto bassa ed angusta.

            Considerando che la mancanza delle strade interne nella provincia d’Otranto, Bari e Capitanata è di un ostacolo più grande che altrove alla prosperità del commercio, non solo pel bisogno vicendevole in cui esse sono costituite fra loro, ma anche per l’immediata relazione che hanno con la capitale, veduta la dimostrazione di questa necessità espressa nel voto unanime di tutte le popolazioni e nell’offerta de’mezzi per eseguirlo” (dal Bollettino del Regno di Napoli, a.1813, p.274), con il Regio Decreto n°1753 del 7 maggio 1813 il re Gioacchino Murat ordina che il Ministro dell’Interno formuli con la consulenza tecnica della Direzione Generale di Ponti e Strade, un piano organico “di quelle strade che esso giudicherà le più opportune e necessarie nelle province di Terra d’Otranto, Terra di Bari e Capitanata”.

            Per finanziare tali opere il sovrano impone ai comuni delle tre province (Bari – Lecce- Foggia), un  ratizzo”annuo i cui proventi sono affidati ad apposite “deputazioni” provinciali presiedute dagli Intendenti composte da notabili locali. Viene così inaugurato un meccanismo di prelievo e di gestione di risorse finanziarie che, confermato e perfezionato negli anni successivi dalla restaurata monarchia borbonica, assicurerà, fino all’Unità, un flusso continuo, anche se abbondante, di finanziamenti; insieme a quelli erogati dal governo per le opere di conto regio e dai comuni per quelli di loro spettanza, essi consentiranno di realizzare una serie di opere pubbliche, soprattutto strade, la cui portata e le cui conseguenze non possono essere ignorate o sottovalutate soprattutto per la nostra città che fino a quel momento era rimastra isolata dai grandi itinerari commerciali.

            Durante il viaggio fatto da Murat nella seconda metà di aprile del 1813 nelle tre province pugliesi, autorità e notabili locali si fanno interpreti presso il re del voto unanime di tutte le popolazioni a favore di investimenti da destinare alla ristrutturazione e alla costruzione ex novo di strade anche a costo di accrescere la pressione fiscale.

            In questa direzione si mosse, già negli anni precedenti, oltre al Consiglio distrettuale e a quello provinciale di Terra d’Otranto, anche il Decurionato cegliese.

            Da secoli, infatti, l’insediamento cegliese era il centro di irradiazione di un fitta serie ma irregolare di sentieri e di strade naturali che lo collegavano alla contrade rurali circostanti e ai centri abitati vicini.

            Il citato decreto murattiano del 7 maggio 1813, pose le premesse tecnico.giuridiche e finanziarie per la costruzione nelle tre province pugliesi, di un sistema viario di cui le strade provinciali costituiscono la struttura portante.

            Ma a causa della collocazione geografica di Ceglie, molto decentrata nella provincia di Terra d’Otranto, fu lasciata priva di una rete viaria che potesse sviluppare il suo commercio di prodotti esclusivamente agricoli (mandorle, fichi, olio, vino).

            Dobbiamo, infatti, aspettare l’Unità d’Italia prima di poter avere uno sviluppo viario articolato.

            La prima via di comunicazione di una certa importanza, Ostuni – Ceglie – Francavilla, fu iniziata nel 1860 e ultimata nel 1887, seguì Costernino – Ceglie, iniziata nel 1863 e portata a termine nel 1897 (ASLe, Atti Prefettura, a, 1863, serie II, vers. I, b. 15, fasc.29), quindi Martina – Ceglie, 1864 -1891, Ceglie San Michele, primo tronco, 1877 – 1878, secondo tronco, 1884 – 1885 ( ASLe, Atti Prefettura, a.1877, serie II, b.15, fasc.242), Ceglie –Villa Castelli – Grottaglie, 1880 – 1897.

            A distanza di un buon trentennio arrivò la ferrovia, allora conosciuta con l’appellativo di VAPORIERA.

 

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