Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

Ceglie, i personaggi: Aurelia Sanseverino

di Pasquale Elia 

            

        IL 21 maggio 1480, XIII Indizione, a Napoli, furono stipulati patti per il matrimonio di Berardino de Maramonte, barone di Santa Maria de Nove, odierna Novoli, e Isabella Sanseverino, tra il procuratore di Antonella CAPECE, vedova di Sansone Sanseverino, madre e tutrice dei figli Isabella, Gio.Tommaso, Polidoro (Teodoro), Caterina e Diana, da una parte e Filippo Antonio de Maramonte, fratello dello sposo dall'altra [J. Donsì Gentile (a cura di), Archivio Sanseverino di Bisignano, in Archivi di Stato di Napoli, Archivi privati. Inventario sommario, vol. I, Roma 1967, p.14].

            Alla data del 21 maggio 1480 Sansone Sanseverino era dunque già morto. Con molta  probabilità, costui fu ucciso nella strenua difesa della città di Otranto, durante i brutali assalti operati dalle truppe turche comandate dal sanguinoso Achmeth (o Acometh) Bassà (C. Capizzi, I Turchi ad Otranto nel 1480-81, in "Rivista Storica del Mezzogiorno", a. XXXI, 1996, p.13 e segg.).  Fu tanto orribile lo sterminio e l'eccidio commesso dalle orde comandate da Achmeth Bassà che lo stesso Maometto II ne rimase allibito al punto che richiamato in patria il feroce comandante per giustificarsi della carneficina lo fece impiccare.

Antonella CAPECE dovrebbe essere Antonella DENTICE. I nomi dei figli (Isabella, Gio.Tommaso, Teodoro, Caterina e Diana) sono gli stessi accreditati alle due donne. Potrebbe anche darsi, che la Dentice avesse due cognomi (Capece e Dentice), ma non ho trovato alcun riscontro in merito, come potrebbe darsi anche che sia stato male interpretato il cognome da parte dell'Autore dello studio (J. Donsì Gentile). La famiglia Capece era un nobile Casato a quei tempi, anche i Dentice erano una nobile famiglia originaria di Saponara. Nulla a che spartire con i Dentice di Frasso.

Il nome delle due donne è Antonella e nei patti firmati a Napoli per il matrimonio del figlio Gio.Tommaso troviamo la DENTICE e non la CAPECE. 

 Il 15 dicembre 1497, I Indizione, a Lecce, dunque fu rilasciata quietanza dei capitoli stipulati a Napoli, tra Giacomo dell'Acaja e Antonella DENTICE per il matrimonio di Gio.Tommaso Sanseverino, figlio di Antonella e Isabella, figlia di Giacomo (J. Donsì Gentile, cit. p.15).

            Possiamo dunque affermare che Gio.Tommaso Sanseverino sposò Isabella, figlia di Giacomo dell'Acaya. Questo era un feudo fortificato appartenente alla contea di Lecce.

            Dal matrimonio di cui sopra, per quanto di nostra conoscenza, nacquero: AURELIA (1498/9?), Adriana a Porzia. Quest'ultima, nel 1515, andò sposa a Jacopo Francone, signore di Trepuzzi. Di Adriana non conosciamo proprio niente.

            Nel 1510, dalla documentazione in nostro possesso, i genitori di Aurelia risultano trapassati (ASNa., Archivio Sanseverino di Bisignano, m/s di Livio Serra di Gerace, vol. III, p.1214; J.Donsì Gentile, cit. p.18; P.Elia, Ceglie Messapica, La Storia, Manduria 2000, p.46).

            Quando il cronista domenicano, nella Platea seu campione di tutti li Beni stabbili di campagna…..posside il venerabile convento di San Domenico della Terra di Ceglie, sotto il titolo di San Giovanni Evangelista, ecc. ecc. Francavilla 1744 (Archivio di Stato di Brindisi), scrive ……fu fondato dall'Ill.ma signora Aurelia Sanseverino……la quale sin dal 1534, con suo padre don Giovanni Sanseverino, chiamò la nostra religione in questa terra (Platea cit. p.2), commette una madornale inesattezza. Se riteniamo veritiera la data del 1510 della sua morte, e, non abbiamo alcun motivo per dubitare, quel suo padre, deve intendersi suo marito. L'imprecisione di cui sopra, commessa certamente in buona fede dallo scrivano domenicano, potrebbe scaturire dal fatto che il padre aveva come prenome Giovanni (Tommaso) e i due mariti il nome Giovanni. 

            In quel periodo era molto in voga l'usanza di anteporre al proprio nome il prenome Gio. con il significato di Giovanni o Gian (es. Gio. Tommaso, Gio. Jacopo, Gio. Giacomo, Gio. Antonio, Gio. Francesco, ecc.), ma il vero nome era il secondo.

             Il 15 gennaio 1512, XV Indizione, a Cassano, Alfonso Sanseverino si costituisce  fideiussore, in sostituzione di Ferdinando Dias Garlon, conte di Alife, per la dote e il dotario stabiliti nei capitoli matrimoniali di Giovanni e Aurelia Sanseverino (J. Donsì Gentile, cit. p.18).

                Il matrimonio della tredicenne Aurelia e Giovanni Sanseverino venne celebrato a Napoli il 26 e il 27 giugno 1512, nella Chiesa di San Tommaso a Capuana. Sotto questa data Gio.Tommaso Sanseverino e Isabella dell'Acaja, rispettivamente padre e madre di Aurelia, risultano già  morti. Per tale motivo venne costituita a dote della sposa la Terra di Ceglie.

            La prematura scomparsa (1510) di entrambi i genitori deve aver molto condizionato le decisioni e la vita futura della giovane Aurelia. Costei era anche la maggiore delle altre due sorelle Adriana e Porzia. E proprio perché era la primogenita delle sorelle ereditò la baronia di Ceglie che poi, unitamente al titolo nobiliare, portò in dote al marito e cugino Giovanni Sanseverino.

            Il 27 ottobre 1512, a Napoli Alfonso Sanseverino sottoscrive l'assenso all'obbligazione dei beni feudali per garantire la dote e il dotario di Aurelia, moglie del fratello Giovanni.

            I coniugi Sanseverino, dopo il matrimonio, devono aver deciso di eleggere domicilio nella nostra città. Il castello era la loro casa e le rendite delle proprietà cegliesi il loro sostentamento. Fu in quegli anni di permanenza a Ceglie che i Sanseverino promossero lavori di abbellimento della nostra città.

            Nel 1521, fecero ristrutturare (reparavit) fin dalle fondamenta (cfr.G.Magno-P.Magno, La Storia di Ceglie Messapica, Fasano 1992, p.63) la Chiesa Madre (lapide murata sulla facciata della chiesa), nel 1525, fecero lavori di fortificazione del maniero (lapide sulla porta d'ingresso della sala consiliare del castello), nel 1534, invitarono l'Ordine dei Predicatori ad essere presenti sul nostro territorio sovvenzionando la costruzione di un convento per monache (Archivio Basilica di San Nicola in Bari, I conventi domenicani del sud nelle risposte del 1756; AGOP, Liber, F. ff.556-577; Notam.ti delli Conv.ti, Padri et frati della Prov.a di S.Thom.o delli Pred. p. 41; Memorie domenicane, Gli Ordini religiosi mendicanti, Tradizione e dissenso, p.27.

Quel convento, ancora oggi largamente conosciuto, in quel modo (u' cumènt'), con la chiesa annessa, fu fondato da Aurelia Sanseverino con il titolo di San Giovanni Evangelista dello Spedale. Questo ci informa che in quel complesso era ubicato il nosocomio cittadino del tempo.

Alcuni studiosi cegliesi affermano che la chiesa annessa a quel convento di suore fosse dedicata dapprima a San Leucio. Questa affermazione non risponde, purtroppo, al vero. Proverò, con la scarsa documentazione in nostro possesso, a dimostrarlo.

L'unico documento in cui si parla di San Leucio (nulla a che vedere con Ceglie) è una Bolla pontificia in favore di Pietro da Guinardo, Arcivescovo di Brindisi nella quale il Papa Lucio III [al secolo Ubaldo Alluncingoli, nacque a Lucca (data sconosciuta), morì a Verona il 25.11.1185] concede al prelato brindisino la conferma del privilegio dell'uso del Pallio, non solo per la festa di S. Leucio, ma anche di S. Pelino e delle chiese pertinenti all'Arcidiocesi nei paesi di cui nelle bolle di Callisto II e Alessandro III, più la Villa di Ceglie, meno l'Abbazia di S. Anna di Ceglie, S. Maria di Ferurella, S. Barbato di Oria e la chiesa di S. Procopio di Taranto.

Data a Velletri per mano di Alberto, cardinale e cancelliere. Firmato da Lucio III e vescovi e cardinali (Anno dell'Incarnazione 1182, IV Gennaio, Indizione I, anno II del pontificato di Lucio III).

La Bolla di cui sopra è una copia coeva fatta tra il 1188 ed il 1206, avallata da Fulco, Vescovo di Lecce, Guglielmo, Arcivescovo di Otranto, Arpino, Vescovo di Polignano e Guglielmo, Ministro della Chiesa di Conversano [cfr. Enciclopedia dell'Ecclesiastico, Napoli 1845, Tomo IV, p.886; Rosario Jurlaro (a cura di) Catalogo dall'anno 1033 al 1957, Bari 2 nov.1958, perg.V, dattiloscritto presso la Biblioteca "De Leo" di Brindisi; A. De Leo, Codice Diplomatico brindisino, p.40 n°21).

Tra il 1527 e il 1528 furono confiscati a Giovanni Sanseverino tutti i beni, compreso le terre di Ceglie perché creduto, a torto certamente, personaggio di spicco nella cosiddetta Congiura del Baroni.

Alcuni consanguinei, chi per tradimento, chi per fellonia, chi per ribellione furono catturati, dichiarati colpevoli, legati in un sacco e gettati in mare, altri, decollati sulle pubbliche piazze, altri ancora fuggiti in altri Stati.

E' noto, tra l'altro, che in questo periodo si accese la guerra tra il re di Spagna e Carlo V imperatore, il reame ed in particolare il Salento fu invaso dall'esercito transalpino, comandato da Lautrech. I Francesi erano alloggiati a Grottaglie e paesi vicini. E' probabile che Giovanni Sanseverino fosse stato costretto dalle circostanze, ad ospitare qualche reparto dell'esercito francese e quindi potrebbe essere stato considerato ribelle. Per una ragione o per l'altra, a noi non nota, fu sottoposto ad inchiesta e giudicato da una Commissione Imperiale di cui parleremo in seguito.

Il 19 febbraio 1530 fu reso esecutivo un decreto del Consiglio del Collaterale nella causa vertente tra la moglie di Giovanni Sanseverino (Aurelia), da una parte, e il Regio Fisco e Luigi Icart, castellano del Castelnuovo di Napoli, possessore della terra di Viggianello, dall'altra.

Un mese dopo circa, il 26 marzo 1530, venne assegnato ad Aurelia il castello di Viggianello (Potenza) in esecuzione della sentenza del Consiglio del Collaterale, per quanto a lei dovuto per dote e diritti dotali dal marito Giovanni Sanseverino.

A questo punto, a mio avviso, Giovanni Sanseverino, era morto, pertanto Aurelia  era vedova.

Giovanni Sanseverino fu dunque, per fatti di cui non siamo venuti a conoscenza, giudicato dalla Commissione Imperiale composta da Innico de Mendoza, Vescovo di Burgos, da Giovanni Sunyer, vice cancelliere imperiale d'Aragona e dal dottor Martino Romano. Il 18 gennaio 1531 fu riconosciuto INNOCENTE e reintegrato in tutti i suoi possedimenti tra cui anche la baronia di Ceglie.

Il 23 settembre 1535, in Saponara, fu redatto un pubblico istrumento per i capitoli matrimoniali di Isabella Sanseverino, figlia di Aurelia e Giovanni, e Pietrantonio Concublet (o Concubleth), figlio del conte di Arena e Stilo, Giovan Francesco Concublet di Bagnara.

……..Aurelia alla morte del marito (quale? Anche il secondo marito si chiamava Giovanni) donò due Cappelle, una della Natività della Madonna e l'altra di San Giovanni Evangelista dello Spedale (atto Notaro Apostolico Lorenzo Provarola della città di Ostuni). La donazione fu confermata dall'Arcivescovo di Brindisi e Oria Giovanni Alessander, A.D. 2 marzo 1544 (ASBr., Platea cit. p.3).

La costruzione di altari e cappelle era sempre un segno di distinzione e prestigio sociale, come la sepoltura nelle chiese maggiori. Altri esponenti del mondo feudale, ecclesiastico e della ricca borghesia esprimevano nel testamento la volontà di avere l'ultima dimora nella cappella fatta erigere nella chiesa riservandosi il Patronato, cioè il diritto di farvisi ivi seppellire.

A tal proposito il signor Annibale Gioia nel suo testamento lascia come disposizione testamentaria, fra le altre cose, che il figlio faccia una cappella nella Chiesa Madre di Ceglie con spendere quanto ad esso parera con farci uno pitafio sopra che insustansia dica "Jus patronato facto per Annibale Gioia et suoi posteri habiano la eleccione in perpetuo" (ASBR., Notaio Stefano Matera, a. 1607, C.83.INV.III.B.1.II.6).

Intanto Aurelia deve aver contratto un secondo matrimonio perché sotto la data del 9 giugno 1546, IV Indizione, a Napoli, costei, in occasione del pagamento della quietanza per la dote della figlia Delia, risulta vedova di Giovan Francesco Concublet, suo secondo marito (J. Donsì Gentile, cit. p.24).

Aurelia Sanseverino morì il 28 dicembre 1562.

I possedimenti di questo Casato furono tutti ereditati dal giovane nipote Giovanni Giacomo (1538 - 31.10.1582), perché il primogenito di Aurelia, Ferdinando, era morto (tra il 1544 e il 1545) prematuramente. Giovanni Giacomo ereditò, tra l'altro, anche il titolo di IV conte della Saponara che fu del padre Ferdinando il quale lo aveva ricevuto a seguito del matrimonio con sua cugina Violante Sanseverino, figlia di Giacomo ed erede nelle Terre di Saponara e di Castelsaraceno [ASNa. Archivio Sanseverino di Bisignano, perg.n°152, Capitoli matrimoniali tra Ferrante e Violante; perg. n°304, cessione di credito per la vendita di Castelsaraceno in Calabria (4.4.1598)].

 

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