La chiesa di S. Domenico, per quale santo?
di Pasquale Elia
Il
convento
(odierno Palazzo di Città) per suore con annessa Cappella, intitolata a
San Giovanni Battista, fu fondato, secondo alcuni, il 25 dicembre 1534,
(AGOP, Archivium Generale Ordinis
Praedicatorum, IV, 24, fol.143v; G. Cappelluti,
L'Ordine
Domenicano in Puglia, Saggio Storico, Teramo 1965, p.27; Memorie
domenicane, Gli Ordini religiosi mendicanti. Tradizione e dissenso,
a.1991, n°22, pp.27-28), da AURELIA
SANSEVERINO (+28.12.1562) e il padre don Giovanni [ASBr., Platea di San Domenico…., a. 1744, p.3/v (deve invece intendersi
il marito don Giovanni. Il padre, di nome Tommaso, era morto fin dal
1510)], secondo altri, dedicata a San Giovanni Evangelista dell'Ospitale, nel 1570 (Archivio Basilica di San Nicola di Bari, I
Conventi domenicani del Sud nelle risposte del 1736;
AGOP, Liber A, Liber F, ff.556-577; Notam.ti
delli Conv.ti Padri et frati della Prov.a di S.Thom.o delli Pred.
Capitolo Vicariati, p.41).
E' da ritenere verosimile che il complesso fu edificato tra il
1534 e il 1558, prima della morte di Aurelia, avvenuta nel 1562 (ASNa., m/s Livio Serra di Gerace, vol. III, fg. 1214-1219; P. Elia, Ceglie
Messapica, La Storia, Manduria 2000, p.51), e, comunque, anche prima
della morte di Carlo V, Imperatore del S.R.I. (I come re di Spagna, II
d'Ungheria, IV di Napoli), avvenuta nel 1558, per il semplice fatto che
alcuni arredi dell'odierna chiesa (pulpito basso e coro ligneo), di
epoca diversa, provenienti di certo dalla vecchia Cappella riportano, in
altorilievo, l'aquila bicipite, stemma araldico austro-spagnuolo (Le
Cento Città d'Italia Illustrate, LECCE, L'Atene della Puglia, Milano
s.d. p.5; C.G. Bascapè - M. Del Piazzo, Insegne
e simboli - Araldica pubblica e privata, medioevale e moderna, Roma
1963, p.105). A titolo informativo, la famiglia Sanseverino era molto
legata a quel Sovrano.
Se teniamo per vera, invece, la costruzione nel 1570, si
tratterebbe di un'altra AURELIA (nipote di nonna Aurelia), figlia di
Ferdinando e Violanta Sanseverino, che sposò Gaspare Toraldo, barone di
Badolato ed era sorella di Giovanni Giacomo Sanseverino, IV conte della
Saponara e barone di Ceglie. Questa
Aurelia, però, il 18 aprile 1558, rinunziò, a favore del fratello
Giovanni Giacomo, a ogni diritto, ragione, ecc. sui beni paterni e materni, eccetto quanto
poteva competerle sui beni dell'ava paterna Maria Aldonsa Beltrana. Il
26 aprile di quello stesso anno,
a Napoli, ratificò quella rinunzia (J. Donsì Gentile, Archivio
Sanseverino di Bisignano, in Archivi
di Stato di Napoli, Archivi privati, Inventario sommario, Roma 1967,vol.I,
p.24). Il Ferdinando, il quale
morì prematuramente, era il primogenito dei coniugi Aurelia e Giovanni
Sanseverino (ASNa, Archivio
Famiglia Sanseverino di Bisignano, Albero genealogico, b.338,
fg.1-2; P. Elia, cit. p.52). Costoro fecero costruire, nel 1521, la
Chiesa Madre di Ceglie (lapide sulla facciata della Chiesa). I
frati domenicani affermano che l'attuale chiesa di San Domenico invece
fu edificata, nel 1688, mentre essi misero piede, cioè abitarono quel
convento solo, nel 1682 (ASBr., Platea
seu campione di tutti li beni stabbili….San Domenico della Terra di
Ceglie sotto il titolo di San Giovanni Evangelista dell'Ospitale, a.1744,
p.3v). Dell'Ospitale sotto il titolo di
San Giovanni Evangelista (don
Gianfranco Gallone, La Chiesa e la
devozione di San Rocco a Ceglie prima del '900, in E' ancora l'alba, Oria 1999, p.54) dobbiamo intendere che quella
Cappella apparteneva al nosocomio cittadino, si trovava cioè dentro le
pareti dello stesso ospedale. Dove
poteva essere ubicato quell'impianto? Non possediamo alcuna attestazione
in merito, purtroppo, ma possiamo però azzardare sicuramente delle
ipotesi il più possibile vicino alla credibilità. Ma
i frati domenicani non dicono la verità quando affermano che essi misero
piede nel convento nel 1682, perché il Comune di Ceglie, nel 1597,
firma un contratto con la Ditta dei fratelli D’Errico di Gallipoli per
la costruzione di una campana
intitolata alla Madonna del Rosario
per il convento di San
Domenico abitato dai frati
domenicani (ASBr., Notaio Stefano Matera, 1.5.1597
C.18.INV.III.B.3.1.II.1 e 10.5.1597,C.24.INV.III.B. 3.1.II.1). Se
quell'Ordine arrivò a Ceglie, secondo il cronista domenicano, nel 1682,
perché, nel 1597, quei frati risultano già nella nostra città da
oltre mezzo secolo? Quella
campana, collocata in un campanile a vela, è ancora ben visibile dalle
finestre del 1° piano dell'odierno municipio ed è posta proprio sopra
la vecchia costruzione, ora sacrestia, in corrispondenza della porticina
che immette nel chiostro.
Il
20 febbraio 1743, una forte scossa di terremoto colpì le città del
Salento e, tra queste anche la nostra Città, provocando molti danni a
cose e persone. Non sappiamo se ci furono vittime a Ceglie, forse ci
saranno state pure, ma di danni alle infrastrutture, certamente si. Alcuni
mesi dopo (12 dicembre 1743), infatti, decisero di riedificare
e ristrutturare l'ospedale cittadino (ASBr.,Not. Tommaso Lamarina,
C.298/t.inv.III.B.3.1.X.29). Ora se stabilirono di riedificare e ristrutturare il nosocomio, ciò significa che una
parte di esso era crollato quindi era urgente la sua riedificazione,
mentre l'altra parte aveva subìto danni abbastanza gravi tanto da
essere necessaria la sua ristrutturazione.
In buona sostanza pertanto i malati furono spostati in altra struttura.
Ma quale? Per
essere dell'ospitale la
Cappella, è indubbio, abbiamo detto che doveva trovarsi all'interno
dell'edificio della menzionata Clinica.
Perché non pensare allora che la Casa di cura in argomento fosse ubicata in quella parte del
monastero che fin dal 1865 fu occupata dalla Stazione dei Carabinieri e,
prima ancora (1855), era stata la Caserma della Gendarmeria Reale? Perché
quella parte di convento, ereditata fin dal 1810, non fu mai occupata
dagli uffici del comune? Forse perché funzionava ancora come ospedale?
Passeranno cinquant'anni prima che in quei locali si insedia la
Gendarmeria Reale. Dal 1810 al 1855 chi ha fruito di quell'ala? L'ampia
scalinata che immette nei locali, il lungo corridoio con le finestre che
guardano nel chiostro, le ampie stanze fanno pensare ad un sanatorio o a
qualcosa del genere. Una stanza abbastanza ampia fu utilizzata come
camerata dai regi carabinieri a piedi ed un'altra come refettorio. Le
altre stanze diventarono uffici, camera di sicurezza, alloggio per il
Comandante dei Carabinieri. Dal chiostro, attraverso una porticina, si
accede direttamente nella Cappella di cui stiamo parlando. Se
così non fosse, cioè, se l'ospedale non fosse stato allocato in
quell'ala del citato complesso, dovremmo pensare che la congregazione di
suore o di frati doveva essere necessariamente molto numerosa. Non
possiamo immaginare una comunità di solo una decina di persone o giù
di lì che occupasse l'intera costruzione. E'
impensabile credere inoltre che si trattasse di quell'edificio noto come
ospedale vecchio (occupato attualmente dall'ASL),
perché quella costruzione risale al secolo XIX, mentre noi stiamo
parlando del sec. XVI - XVII. Tre
atti del notaio Stefano Matera, datati 1 maggio e 10 maggio 1597,
informano che gli amministratori comunali, dell'epoca, commissionarono
ai Fratelli D'Errico di Gallipoli una campana per quella Cappella (ASBr.,
C.18.inv.III.B.3.1.II.1). Quando
a causa della soppressione degli Ordini Religiosi (decreto n°448 in
data 7.8.1809 a firma di Gioacchino Murat) i frati domenicani furono
allontanati, una parte del complesso fu occupato dagli uffici del
Comune, della Pretura, del Giudice di pace e forse anche dell'Ufficio
del Registro. La Casa di cura
deve essere rimasta nell'edificio fino a quando i malati non furono
trasferiti nel cosiddetto ospedale
vecchio e quella parte del monastero fu trasformata in Caserma.
Quando il 31.12.1866, infine i frati cappuccini furono sfrattati (legge
7.7.1866, n°3036) fu portato il nosocomio in quel Convento.
Il
Monastero dei cappuccini difatti fu convertito in ospedale e ricovero di
mendicità (P.Elia, Gli Ordini
Religiosi a Ceglie Messapica, in Soste
di pietra (a cura di) Enrico Turrisi, Latiano 2000, p.88). Le
piccole ed anguste celle dei frati diventarono camerette per gli
ammalati e per gli accattoni. Del
Monastero dapprima per suore di cui ci stiamo occupando, dal 1534
(fondazione) al 1682 (arrivo dei domenicani), non esiste alcuna
testimonianza al riguardo. In
una relazione dell'Arciprete Donato Maria Lombardi (1748) rispondendo ad
un questionario del Vescovo per una Visita Pastorale così si esprimeva:
Cappella dell'Ospitale sotto il
titolo di S. Giovanni Evangelista e viene governata da un Procuratore,
che si eligge in ogn'anno dal Sindaco e Publico……. a riserva nella
Cappella dell'Ospitale, della quale ne fu sospeso l'Altare nell'ultima
Santa Visita per mancanza delle cose necessarie da potersi celebrare il
Santo Sacrificio (don Gianfranco Gallone, cit. p.54). Dalla
relazione di cui sopra ricaviamo che quel Tempietto era, possiamo dire,
quasi abbandonato. Sappiamo (si dice) che, nel 1641, fu tumulata nella
Chiesetta in questione la duchessa Isabella Noirot, giovane moglie del
duca Diego Lubrano. Ma perché la duchessa Lubrano fu seppellita proprio
in quella Cappella non frequentata da fedeli, in cui non veniva
celebrata nemmeno la Santa Messa quando invece la sua tomba poteva
essere collocata nella vicinissima Chiesa Madre? Proprio in quella
Chiesa Madre il duca Diego Lubrano, alcuni anni prima, nel 1630, per la
precisione, aveva fatto costruire, a sue spese, un Altare dedicato a
Sant'Antonio da Padova, Patrono della Città. Questa notizia è stata
ricavata dalla relazione di una Visita Pastorale, fatta nel 1644, da
Monsignor Parisi, Vescovo di Oria (don Gianfranco Gallone, cit. p.53). Ma
siamo poi davvero certi che dietro quel sacello, nell'odierna sagrestia,
ci sia proprio il corpo della duchessina Isabella? E se quel monumento
funebre fosse stato eretto a ricordo
di quel tragico evento verificatosi proprio in quell'ospedale (si usa
ancora oggi piantare una Croce od altro sul luogo della disgrazia) ma
poi in effetti la duchessa fu sepolta altrove, Chiesa Madre, per
esempio? Sappiamo che costei morì improvvisamente. Non potrebbe darsi
che fosse stata colpita, per esempio, da infarto del miocardio e lì
trasportata per ricevere le prime cure di emergenza? Non vedo la ragione
di quella strana sepoltura. La lapide collocata nella odierna sacrestia
di San Domenico riporta ……in
memoria dell'ottima consorte pose. E
perché non qui giace, qui riposa, ecc.? Lo
scrivente è sempre più convinto che Isabella Lubrano fu tumulata nella
Chiesa principale di Ceglie, sotto l'Altare fatto costruire dal marito
alcuni anni prima e, quando questa fu abbattuta, nel 1781, per
ricostruirla più grande e più bella, la tomba della duchessa e del
duca Fabrizio Sanseverino furono traslate nella Chiesa dei Cappuccini. Gli
amministratori comunali dell'epoca vollero salvare quei due angoli di
storia patria, non altrettanto fecero quelli di quarant'anni fa circa
che senza la ben che minima esitazione distrussero tutto. Ma
perché San Domenico, San Giovanni Battista o San Giovanni Evangelista
dell'Ospitale? In genere le chiese prendono il nome dal Santo cui è
dedicata (S. Rocco, Sant'Anna, San Gioacchino, Sant'Antonio Abate, SS.
Annunziata). Per quella chiesa perché ciò non si verifica? Perché la
conosciamo come San Domenico e poi, invece, è dedicata ad altro Santo? La
chiesa fu dedicata a San Domenico dai frati domenicani, nel 1688, perché
santo fondatore del loro Ordine, e fecero di tutto per mantenere vivo
quel nome, ma dovettero conservare, a
malincuore, il titolo della vecchia Cappella.
Essi presero possesso di un monastero e di una Cappella dedicata ad
altro Santo. Nella Chiesa odierna è custodita la statua lignea di San
Domenico da Guzman, da cui la stessa prende il nome e tanti altri santi
e beati, ma, guarda caso, sono tutti dell'Ordine domenicano. A
questo punto potremmo senz'altro ipotizzare che il personale che
assisteva e curava i malati ricoverati nell'Ospitale
cittadino dell'epoca, faceva certamente parte dell'Ordine Religioso dei
domenicani.
Ma non potrebbero essere state suore domenicane? Le risposte alle domande di cui sopra potrebbero esserci fornite dalle famiglie patrizie che all'epoca della soppressione degli Ordini religiosi (1810) incettarono oltre agli immobili (venduti poi all'asta) di proprietà del Convento, secondo me, anche i manoscritti custoditi nella biblioteca dei frati. E pensare che i domenicani devono aver ereditato al loro arrivo gli scritti dei centocinquant'anni precedenti, non si può assolutamente pensare che quelli fossero frati o suore che non sapessero scrivere. Tanto per intenderci mancano ben trecento anni di storia cittadina. E la biblioteca dei frati cappuccini? Da qualche parte, se non sono stati distrutti, devono pure esserci quei manoscritti.
Ultimo aggiornamento: venerdì, 16 novembre 2007 Torna all'indice dell'antologia
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