Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

Ceglie tra la Rivoluzione francese e la democrazia

di Pasquale Elia 

            

        Le idee di libertà, di fraternità e di uguaglianza sfociate nella rivoluzione francese avevano superato le Alpi, raggiunto il meridione d'Italia e quindi anche Ceglie.

            Proprio in quel periodo ebbe inizio quel sommovimento che va sotto il nome di Rivoluzione napoletana del 1799 che costò, purtroppo, la vita a tanti bravi giovani.

                Anche la nostra città ebbe i suoi moti, il suo cosiddetto Albero della Libertà, i suoi morti, i suoi saccheggi, le vendette personali. Si, perché in ogni rivoluzione paga sempre il più debole.

            Nell'ambito di queste vicende accadde un malvagio e barbaro episodio (vd. G.Scatigna Minghetti, Risorgimento in terra di Brindisi, Liberali e Reazionari, Ceglie Messapica 1984, p.19 e sgg.).

            Il clero cegliese che, per quanto riguarda molti suoi elementi, era perfettamente inserito nella realtà locale, avvertiva e propugnava la libertà, l'indipendenza e l'unificazione dell'Italia. Alcuni, invece, affermavano la fedeltà proclamata con giuramento prestato nelle mani del vescovo, alla Casa regnante ed al Governo ottemperando ai dettami del Concordato, stipulato il 16 febbraio 1818, tra la Santa Sede e il Regno delle due Sicilie.

            Nel 1851, successore di S.E. Giandomenico Guida (1833 - 1848), nella diocesi di Oria, fu nominato Mons. Luigi Margarita (1851 - 1888), nativo di Francavilla, che gli storici locali lo definirono ……un uomo della peggiore risma e losco figuro…. e ……vendicativo, fedele al governo del tempo e rappresentante autentico della reazione…..G. Scatigna Minghetti, in Risorgimento……..cit.).

            Il Margarita ebbe nella diocesi subito nemici e, per farli tacere, li denunziava agli organi di polizia borbonica, quali avversari del re.

            Segnalò, tra i tanti, alla polizia anche l'Arciprete della Chiesa Madre di Ceglie don Domenico Gatti.

            In una lettera del presule oritano, dallo stesso classificata "riservata a Lei solo e di  confidenza", inviata il 23 luglio 1852 al Nunzio Apostolico in Napoli, Cardinale Innocenzo Ferrieri, parlando del Gatti scriveva: "…..ch'è il solo ritirato adesso nel convento dei Minori Conventuali di qui, per riparar ai terribili e svariati danni da lui cagionati a quelle povere anime……Il suddetto don Domenico Arciprete Gatti tiene presso di se da anni moltissimi un suo fratello Min.re Conventuale Apostata di fatto dalla di lui Religiosa Regola, il quale non avendo giammai regolarizzato l'Atto della sua secolarizzazione perché non si è provvisto né di sacro Patrimonio, né di Chiesa ove servire, né di Regio Exequatur, sono stato in dovere di significargli che ei trovasi incorso già nelle pene fulminate dal Dritto, e quindi che io non potèa permettergli l'esercizio de' Sacri Ministeri………Lo stesso Arciprete suddetto ha fatto vivere in unione illecita due disgraziati, i quali molti anni addietro cercarono di congiungersi in matrimonio, ma perché esisteva tra essi impedimento dirimente, si dichiarò alle parti……che era necessaria la dispensa di Roma. Passata una diecina di giorni chiamò le parti e loro fè sentire, che si erano spesi carlini diciotto; e per profittare di tale somma ha fatto vivere finora in concubinato quegl'infelici, perché non mai ne scrisse a Roma !!!….. è ancora unito al vizio del gioco, del concubinato, della bestemmia e di ogni altra nequizia e non sono solo queste che le umilio, ma verità luminosissime……..Solo mi si potrebbe dire: come sia che un Uom così astuto qual è il suddetto Arciprete Domenico Gatti, e consumato in tanti delitti abbia poi protettori delle persone cospicue ed anche degli Ecclesiastici…..(Archivio Segreto Vaticano, Archivio della Nunziatura di Napoli, fasc. 107, fg.3; P.Elia, Lettera del vescovo di Oria al Nunzio Apostolico in Napoli, in E' ancora l'alba, Oria 1999, p.79 e segg.).

            Intanto la rivoluzione avanzava velocemente e i vescovi (71 su 88), per timore di rappresaglie, abbandonarono le sedi pastorali e si rifugiarono in altri paesi. Il Margarita lasciò Oria per Francavilla, sua città natale. Nel frattempo i rivoluzionari assalirono il palazzo vescovile, ruppero il trono, bruciarono lo stemma del Margarita e costrinsero il Provicario Tesoriere Maggio a cedere l'Ufficio.

            Il 28 febbraio 1863, il Vicario Capitolare della diocesi di Oria, Ciro Cantore Pignatelli, denunciò le mene del vescovo, il quale era fuggito abbandonando la sede, e del canonico Vincenzo de Angelis.

            Costoro, sia da lontano che sul posto, fomentavano la parte reazionaria del clero a dichiarare illegittimi e nulli i sacramenti amministrati da preti liberali e dalle Autorità ecclesiastiche riconosciute dal governo italiano e approvavano persino la segreta somministrazione dei sacramenti, la confessione di donne ascoltate nelle case dei preti retrivi, la celebrazione dei matrimoni e il rifiuto del servizio dell'altare quando officiava un sacerdote liberale (cfr. F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Varese 1974, p.236; cfr. Atti CPIB, Commissione Parlamentare Inchiesta sul Brigantaggio nelle province meridionali).

            Anche Ceglie non fu da meno. Il Parroco di San Rocco, per esempio, don Domenico Caliandro fu Tommaso, di anni 54, il 27 marzo 1863, querelò don Rocco Epicoco e don Pietro Vitale perché questi lo screditavano asserendo che costui era scomunicato e pertanto i sacramenti che amministrava erano da considerare nulli. Alcuni giorni dopo, l'8 aprile 1863, don Donato Suma di Giuseppe di anni 45, querelò don Pietro Agostinelli e don Pietro Zito per l'identico motivo. Il 23 ottobre di quello stesso anno, la Corte d'Appello delle Puglie in Trani dichiarò non farsi luogo a procedimento penale contro………per lo reato di turbamento dell'altrui coscienza……..(ASLe., Regio Giudicato di Ceglie - Processi Politici - fasc.31; P. Elia, Processi nati da pettegolezzi, in E' ancora l'Alba, cit. p.74 e segg.).

            Il Vescovo Margarita, unitamente ad altri sacerdoti, fu condannato al domicilio coatto, dapprima a Lecce, quindi a Finestrelle, in provincia di Torino dove si ammalò gravemente. Morì a Francavilla Fontana il 15 aprile 1888.

            Realizzata l'unità d'Italia, anche la nostra città fu chiamata e fornì, nel Plebiscito, l'assenso al Regno sabaudo. A ricordo di quell'evento fu dedicata l'odierna Piazza Plebiscito.

            Nella seconda metà dell'Ottocento, Ceglie conobbe un periodo di intenso fervore, ne sono testimonianza le opere e i monumenti realizzati in quegli anni: la torre dell'orologio nella piazza principale, la Chiesa di San Gioacchino, la Chiesa di San Rocco, il Teatro Comunale, il Cimitero urbano, il Macello comunale, il Convento dei Padri Passionisti con l'annessa Chiesa ora Casa di Riposo San Giuseppe, le Cappelle gentilizie al Cimitero, alcuni edifici di civile abitazione, le vie di comunicazione: Ostuni - Ceglie - Francavilla, Ceglie - Martina, Ceglie - Cisternino.

            A quei tempi la nostra Ceglie non deve aver sofferto certamente di disoccupazione.

            La stessa cosa non si verificò invece all'inizio del XX secolo. Crisi di sviluppo, costante crescita demografica, emigrazione continua  verso l'America del Nord, Sud America, Svizzera, Belgio, Francia, Germania, Regno Unito si fecero sentire fino a tutto gli anni '60.

            Il movimento fascista si affermò anche nella nostra città. Alcuni cegliesi parteciparono alla Marcia su Roma del 1922, e ad alcune cosiddette spedizioni punitive furono effettuate contro alcuni abitanti di Martina Franca che non volevano allinearsi alle idee fasciste.

            Con l'avvento del fascismo scomparve la figura del Sindaco che, al quel tempo, veniva eletto soltanto dagli uomini (le donne conquisteranno il diritto di voto con al proclamazione della Repubblica), ed al suo posto veniva nominato, dal Prefetto, il Podestà, il quale era scelto tra le persone di spicco del luogo e di credo politico vicino alla maggioranza governativa (fascista).

            La soppressione delle libertà costituzionali fece nascere a Ceglie, così come in tutte le altre città italiane, un forte Movimento antifascista.

            Fu costituito, dal Governo, il cosiddetto Tribunale Speciale, il quale comminò molte condanne al carcere ed al confino agli oppositori cegliesi del regime (Francesco Ricci, Rocco Spina). Alcuni, per sfuggire alla detenzione o al domicilio coatto, si rifugiarono in Francia, nel Regno Unito o negli U.S.A.  E da questi paesi lontani continuarono la lotta alla dittatura.

            Un bel mattino la radio trasmise che il Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato, S.E. Benito Mussolini (questi erano i titoli di cui si fregiava), aveva dichiarato guerra agli Alleati (Regno Unito, Francia, U.S.A., U.R.S.S., ecc.), schierando l'Italia a fianco della Germania e del Giappone con il cosiddetto "Patto d'acciaio".

            Dal quel momento in tutte le case di Ceglie, ci furono lutti, dolori, disperazione, miseria, fame. Il contributo di sangue fornito dai giovani cegliesi fu molto pesante, ben 169 ragazzi non torneranno più alle loro abitazioni, alle loro mogli, alle loro mamme, ai loro figli (cfr. P. Elia, Ai Cegliesi decorati al Valore, Ceglie Messapica 1995, p.111-124).

            In quel periodo si verificò un evento eccezionale. A piano terra del Palazzo Scatigna, situato alla fine della Via Francesco Argentieri, c'era un frantoio oleario e, proprio in quel frantoio fu temporaneamente sistemato un deposito munizioni. Una notte quel deposito saltò in aria a causa della negligenza di una sentinella che lasciò cadere un mozzicone di sigaretta non perfettamente spento (almeno questa fu la versione ufficiale).

Nei primi anni di guerra (1940-1941), Ceglie ospitò sul suo territorio una Unità di paracadutisti della Divisione "Folgore".

Gli Ufficiali di quel Comando e i Comandanti di Compagnia furono alloggiati in case private, la mensa ufficiali fu stabilita in una casa in Largo Sila e i cavalli degli stessi furono sistemati nel Teatro comunale che, con il permesso dell'allora Podestà (dott. Nicola Greco), fu trasformato per l'occasione in stalla.

            Passarono tre lunghi anni di guerra, tre anni di duri sacrifici per tutti, tre anni di lacrime, di dolori, di privazioni, di paura, di miseria, di fame.

            Il reparto della Div. Folgore di cui sopra, fu accampato, in attesa di imbarco per l'Africa Settentrionale, in contrada Galante, nelle vicinanze dell'odierno Campo Sportivo, fra gli ulivi. Quell'Unità, giunta in Africa fu schierata sul fronte Sud della zona operativa di "El Alamein" tra le città di Dir el Munesib e Quaret el Himenat. Aveva di fronte la 44° Div., in rincalzo la 7° Div. cor. (cfr. P. Palmiro Boschesi, Le grandi battaglie terrestri della II guerra mondiale, Verona 1972, p.43). I suoi soldati parteciparono con grande coraggio alle varie battaglie di quello scacchiere operativo e, Comandante compreso, furono decimati. Quei pochissimi superstiti ottennero dal nemico, rimasto favorevolmente impressionato del loro valore, l'onore delle armi.

            Sempre in contrada Galante, nel 1943, fu sistemato, in attesa di essere trasferito in zona di operazioni, anche un reparto germanico, il quale, con la dichiarazione di armistizio (8 settembre 1943), portò un po' di scompiglio nella popolazione cegliese. Non ci furono rappresaglie come in altre città, nel tardo pomeriggio, a bordo dei loro automezzi, abbandonarono la nostra città e tutto tornò alla normalità.

            Passata la paura, la popolazione accolse l'armistizio con gioia, con spontanei festeggiamenti, con lancio di razzi illuminanti, con spettacoli pirotecnici. Si riaccesero le luci della città che erano rimaste spente per tre lunghi anni. Erano delle piccole lampade da 25 w (w = watt = candela, in italiano) a 125/V (V = volt), ora 220/V, poste all'incrocio di due strade. Avrete certamente capito che l'illuminazione lasciava molto a desiderare.

            Watt è l'unità di misura della potenza elettrica. Simbolo : "w".

            Giacomo Watt (1736-1819), scozzese, fu il perfezionatore della macchina a vapore. Quel vocabolo straniero (watt), non piaceva ai nostri governanti, del tempo, e fu coniato il termine "candela" per indicare proprio la potenza elettrica.  A questo proposito rammento che molte persone dovettero cambiare o italianizzare addirittura il proprio nome o cognome. Nelle abitazioni al posto del contatore, era installato un apparecchio chiamato "limitatore", il quale aveva la funzione proprio di "limitare" la potenza elettrica. Con una sola lampada accesa era tutto OK, con una seconda, se pur piccola, oltre ad emettere un sibilo fastidioso, la luce diventava intermittente. 

            Volt, invece è l'unità di forza motrice che rappresenta la differenza di potenziale capace di produrre una corrente di 1 ampère (pron. ampèr) in un conduttore della resistenza di 1 ohm. Il voltaggio pertanto è la forza elettromotrice espressa in volt. Ampère invece è l'unità pratica di misura della intensità delle correnti elettriche (dal fisico francese Andrea Maria Ampère).  Si tratta quindi della quantità di elettricità che attraversa un conduttore in un'ora alla intensità di 1 ampère. E quindi l'unità di misura della tensione elettrica (differenza di potenziale). Il nome deriva dal comasco Alessandro Volta (1745 - 1827). Il plurale di volt, inteso come unità di misura, dovrebbe essere sempre Volt trattandosi di un nome italiano, ma molto spesso troverete il plurale all'inglese, volts, non è regolare ma ormai è di uso mondiale.

            Una mattina di settembre 1943, una giornata luminosa e piena di sole, una lunghissima litania di automezzi militari alleati (salutata festosamente da tutta la popolazione accorsa ai bordi delle strade), carichi di truppa, cannoni, munizioni, vettovaglie, mezzi blindati, lanciata a forte velocità, attraversa la nostra città sollevando nuvoloni di polvere (tutte le strade di Ceglie erano in terra battuta).

Gli Alleati provenivano da Martina (erano sbarcati a Salerno), via S. Rocco, Piazza Sant'Antonio, Via Vitale, Porta di Giuso (era la nostra tangenziale dell'epoca, e veniva conosciuta  con il nome di "extramurale"), via Umberto I, Via Roma. Quivi si divisero in due colonne, una proseguì per Francavilla, poi, le città salentine fino a Otranto - S. Maria di Leuca, l'altra per San Vito dei Normanni quindi Brindisi.

            Con l'arrivo delle truppe alleate compare il pane bianco (farina di riso), che per noi era la manna caduta dal cielo. Fino a quel momento c'era stato il pane d'orzo e, per giunta, con la tessera, ossia non si poteva prelevare più di un certo quantitativo a persona; compaiono le ricercatissime sigarette americane, la gomma da masticare (giugòmm' per noi ragazzi), il cioccolato, il caffè, la scatola di beans (conserva americana di carne e fagioli, di sapore dolce, mediocremente apprezzata dagli stessi soldati statunitensi, ma che rese un inestimabile servizio nell'immediato dopoguerra), e, nella parte vecchia della nostra Ceglie si sviluppò, in modo abnorme, il meretricio.

Fanno la loro bella comparsa le AM Lire, ossia una moneta cartacea a corso legale stampata dagli USA in sostituzione delle lire italiane ormai senza alcun valore e scomparse finanche dalla circolazione. Le monete metalliche dell'epoca (mezza lira, quattro soldi, ecc.) venivano da noi ragazzi utilizzati per giocare a batt'parèt',  o  a spacca chiangl'.

            Molti giovani cegliesi (meccanici, tornitori, muratori, manovali, falegnami) in quei tristi momenti di generale miseria trovarono lavoro alle dipendenze dell'Aeronautica Militare Americana (U.S.A.F.), dislocata presso l'aeroporto di Grottaglie. Essi venivano prelevati, al mattino, da Piazza Plebiscito, con autocarri di quella Forza Armata e riaccompagnati la sera.

            La guerra però continuò su tutto il territorio italiano al di là della cosiddetta linea "G", o "linea Gustav", ma conosciuta anche come "linea Gotica", dove Gustav altro non era che la parola usata dai telegrafisti germanici per identificare la lettera G nel cosiddetto alfabeto fonetico. In Italia, si usavano i nomi delle città, quella "G" sarebbe stata "Genova". Ora, invece, è in uso l'alfabeto fonetico internazionale, ma in realtà americano, quella "G" viene pronunciata "Golf".

            Il 25 aprile 1945, con la disfatta della Germania può essere dichiarata, finalmente, FINITA la guerra.

            L'Italia viveva nella miseria più nera e la nostra Ceglie non era da meno. Tutto fin dove era possibile veniva riciclato in famiglia. I vestiti, per esempio, i pantaloni, le gonne, i cappotti, le scarpe era d'obbligo farli passare dal fratello o dalla sorella maggiore a quello/a  più giovane. I cappotti dopo un certo numero di anni di onorato servizio, venivano rivoltati ed utilizzati ancora per parecchi anni come se fossero stati nuovi.

            Alla caduta della Monarchia con il Referendum del 2 giugno 1946 e la conseguente partenza del Re Umberto II per l'esilio a Cascais, in Portogallo, Ceglie, dal 13 di quello stesso mese, ha conosciuto una lunghissima egemonia della Democrazia Cristiana.

                          

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