Ceglie
Messapica, qualche anno fa
di Pasquale Elia
E'
necessario premettere che l'economia antica della nostra città si
reggeva esclusivamente sulla scarsa produzione agricola e sulla
pastorizia, in epoca più recente, anche sulle attività artigianali e
sulla intraprendenza degli stessi artigiani. Le
strade, tutte le strade, piazza Plebiscito compresa (a
destra, in una foto del primo Noveento),
erano tutte in terra battuta, quindi nei mesi estivi tanta polvere,
facevano eccezione perché piastrellate (chiangl')
alcune strade del rione Mammacara
e quelle del Borgo
antico. Ceglie
è sempre stata una città prettamente agricola, la vita, quindi, era
regolata dal susseguirsi delle attività connesse all'agricoltura.
Finanche le festività cittadine erano collegate ai lavori agricoli. Tutte
le attività agricole erano manuali, non esisteva ancora alcun mezzo
meccanico. L'unico aiuto veniva fornito dal cavallo, dal mulo o
dall'asino, insomma, com'era Duemila anni fa. La mietitura, tanto per
fare un esempio, la prima delle operazioni di raccolta del frumento
maturo consisteva nel taglio delle piante, veniva eseguito a mano con un
falcetto da contadini o operai agricoli assunti a sciurnàt'. Le spighe
erano poi raccolte, anche da donne, in grosse fasce dette covoni. I
covoni a mezzo di traijn' venivano trasportati sulle aie pubbliche dove le spighe
subivano la trebbiatura. Era l'operazione con cui i covoni venivano
stesi sul pavimento, quindi, un grosso tronco trainato da un cavallo che
girava come in un mulino batteva le spighe estraendo i chicchi dagli
involucri e dagli steli. A volte la trebbiatura, era fatta a mano dagli
stessi proprietari, con lunghe pertiche che battevano le spighe. Infine
con recipienti detti farnàr'
e l'aiuto del vento veniva separato il frumento dagli scarti e dalla
paglia. Dopo
il secondo conflitto mondiale queste operazioni vennero svolte dalle
macchine che piano piano furono accettate. Le
aie pubbliche, a quanto ricordo, erano tre. La prima, all'inizio di via
Martina, alle spalle dell'odierna farmacia, la seconda, sobb'
a lu' prufich', all'incirca odierna piazza della Resistenza, la
terza, masseria Insarti (?). Infine c'erano le aie delle masserie. Nei
mesi estivi un carretto appositamente attrezzato con cisterna (carrizz')
percorreva in andata (una mezzarìa) e ritorno (l'altra mezzarìa)
alcune vie cittadine, via San Rocco, corso Garibaldi, piazza Plebiscito,
via Giuseppe Elia, via F. Argentieri, via Dante, per innaffiarle. Forse,
nelle intenzioni degli amministratori comunali quel servizio avrebbe
dovuto alleviare la calura, ma il risultato era invece il contrario, il
caldo faceva evaporare
quella poca acqua, quindi, aumentava il grado di umidità apportando
notevole disagio. La
carrizz' di cui sopra era
costituita da un carretto trainato da un cavallo, una cisterna metallica
contenente circa tre o quattro quintali di acqua, nella parte
posteriore, alla base una saracinesca a cui era collegato un tubo
metallico tutto bucherellato, del diametro di circa cinque centimetri,
lungo quanto era largo il carretto, l'operatore ecologico, si direbbe
adesso, apriva la saracinesca e quando l'acqua incominciava ad uscire
avviava il cavallo al passo. Il rifornimento idrico veniva effettuato
nei pressi della chiesa di San Gioacchino, dove esiste un bocchettone
che, a mio parere, dovrebbe trattarsi di una presa antincendio. Altra
presa del genere che io sappia la si trova in piazza Plebiscito
immediate vicinanze ingresso Cin
Cin Bar. Fin
dall'inizio della primavera squadre di cazzaricc'
preparavano i ciottoli da stendere poi sulle strade (via San
Rocco, via Sant'Anna, piazza Sant'Antonio, piazza Plebiscito, via Dante,
Corso Verdi, via Martina, ed altre). L'unica strada asfaltata era la
Ostuni-Ceglie-Francavilla. Alla
fine degli anni Quaranta dello scorso secolo la maggior parte delle
abitazioni cittadine (98%) era ancora sprovvista di servizi igienici.
Per quanto riguarda l'acqua, la quantità indispensabile per gli usi
domestici veniva attinta dai pozzi o in mancanza di essi la si
trasportava a braccia in contenitori di creta o di latta (menz')
attingendola dall'enorme pozzo della chiesa di San Rocco, poi, dalla
fontana pubblica ubicata nelle vicinanze di detta chiesa. Eppure la
prima fontana pubblica di acqua potabile risale al lontano 1914, proprio
vicino alla Chiesa di cui sopra. Seguì nel tempo quella in Piazza
Sant'Antonio, Piazza Plebiscito, Piazza Umberto I, via San Vito, quindi,
via Sant'Anna, Piazza Vecchia, largo Ospizio, largo Colucci, ecc. A
causa della mancanza di acqua corrente era sconosciuta la vasca per il
bagno (ecco le pulci), ma c'era u'
tin' oppure, u'
limm', altri sconosciuti erano lo shampoo (ecco i pidocchi), il
dentifricio, lo spazzolino da denti. Sarà
bene sapere che questi insetti erano di normale amministrazione per quei
tempi, nessuno si scandalizzava più di tanto. A volte, alcune mamme per
liberare la capigliatura dei loro figli da quegli insetti, spruzzavano
sui capelli grandi quantità di DDT. Quanto
sopra potrà non fare piacere a molti, ma la realtà è questa e non la
si può cambiare. Negli anni Trenta furono appaltati i lavori per la rete
fognaria e si protrassero per molti anni a causa e della natura rocciosa
del terreno e, soprattutto, a causa della guerra. La roccia, all'epoca,
veniva lavorata a forza di braccia con picconi (non c'erano ancora i
martelli pneumatici). Durante il periodo bellico tutte le opere di
interesse pubblico furono sospese e per mancanza di mano d'opera, ma
anche e soprattutto per mancanza di denaro.
Detto così sembra che tutti potessero avere acqua e fognatura
nelle abitazioni, ma non è così. Allora imperava la miseria. Chi
possedeva il denaro necessario per potersi allacciare alle condotte di
acqua e di fogna? Le
pochissime famiglie benestanti, coloro i quali facevano precedere il
loro nome dal famoso don
(don Ciccio, don Peppino, don Luigi, don Nicola). Le famiglie
che si potevano permettere il lusso di avere i servizi in casa si contavano sulle dita
di una mano. Le altre, tutte le altre, dovevano utilizzare il sistema in
uso fin dall'antichità (recipiente in creta detto ZIPEPP' o CANDR' tenuto
nascosto da qualche parte nella casa), a seguito di ordinanza comunale,
dovevano, ogni mattina……..….gettare
le sue mondezze, lo romato e
staglio, fuori la porta di Juso sulla via che porta alli Cappuccini
nello fondo di Natale Ligorio oppure ……le
sue mondezze, lo romato e staglio nei luoghi stabiliti dall'Università,
cioè fuori la porticella, dove si dice lo Monterrone….oppure,
….la
frascina e terrazzo nel solito luogo dove l'Università paga il censo
all'Abbate Pietro Menghi, esattamente nello stesso luogo delle mondezze
e romato dove sarà posto il segnale….(ASBr., Platea
S. Domenico, anno 1744, p.359 e segg.).
I motivi delle suindicate decisioni erano da ricercare nel fatto
che gli animali domestici (cavallo-mulo-asino) coabitavano con l'uomo.
Le abitazioni erano pertanto anche stalle. Chi scrive ricorda che erano,
in genere, composte da una greppia con lettiera per l'animale, un
canaletto di scolo a cielo aperto che attraversava l'intera abitazione e
raggiungeva l'uscio della stessa, sul pavimento,
in corrispondenza della lettiera del tipo pozzo
a perdere, si trovavano, a volte, alcuni buchi che permettevano di
disperdere quanto prodotto di liquido dall'animale durante la notte.
C'era, inoltre, l'arcuèv' in cui era sistemato il letto matrimoniale composto da
due tristièdd' in legno per
i più poveri, in ferro per i meno abbienti, qualche asse in legno (tavole)
sulle quali poggiava il materasso, detto saccòn',
riempito con paglia, per i più poveri (85%), con foglie secche
di granturco, per il ceto medio (15%) e sotto di esso il famoso ZI'
PEPP', un piccolo camino situato, in genere, dall'altra parte della
stanza, un tavolo con due sedie, una botola nel muro per il pozzo,
quando c'era. In sostituzione dei bicchieri c'era u' mumml' per l'acqua potabile e l'urzul' per il vino,
mentre il piatto era uno solo per l'intera famiglia, a volta anche cunzàt',
ossia i vari pezzi tenuti insieme con filo di ferro e cemento. Tutti
bevevano allo stesso mumml' o allo stesso urzul'
e mangiavano nell'unico piatto posto al centro del tavolo.
Per la cronaca le famiglie con il don
avevano il materasso di lana.
Di solito l'animale veniva nascosto da una tenda tirata alla
meno peggio. Sarà
bene sapere che u
traijn', per quei tempi era come il CAMION odierno. I traijnieri
possiamo considerarli gli antesignani dei più famosi padroncini
di adesso. Con quel mezzo veniva trasportato di tutto: masserizie, vino,
olio, grano, uva, olive, fichi, persone, ecc., in altri momenti
l'animale tirava l'aratro per vangare il terreno. Lo
stesso traijn'
il giorno dell'Ascensione trasportava, fin dalla sera precedente, le pie
persone al Santuario di San Cosma e Damiano ad Oria, rientrando il
giorno dopo festosamente addobbato con campanelli e fettucce di vari
colori, cavallo compreso. I ragazzini invece mettevano in mostra le
girandole (vuntalòr')
che i genitori avevano comprato loro dalle bancarelle. Il
vino, in particolare, se e quando veniva trasportato dalla campagna alla
casa in città lo si faceva con otri di pelle di capra e poi svuotato
nel cosiddetto capasòn'. Per
tutti i motivi di cui sopra il cavallo era di vitale importanza per la
famiglia che lo possedeva. Il grosso problema che dovette risolvere l'Amministrazione
comunale era la raccolta dei rifiuti. Invece di indicare i luoghi dove
potevano essere scaricati faceva attraversare ad ora prestabilita
(mattina), le vie cittadine da un carretto (per quanto ricordo) con una
botte in legno (carrizz'),
trainato da un cavallo. Il conducente, a più riprese, ed in genere agli
incroci, gridava a gran voce: uèèèè
ca mi ni vooooooch' ? A quel grido le massaie, tutte le massaie,
si riversavano in strada con il loro fardello
e lo svuotavano nel carretto, poi, con l'acqua che, in genere,
attingevano dal pozzo o dalla provvista che avevano trasportata dalla
fontana pubblica lo lavavano e lo riponevano in casa.
Quando poi l'impianto fognario fu completato il lavoro di cui
sopra veniva fatto nel pozzetto di ispezione della condotta fognaria.
Solo intorno agli anni SETTANTA fu risolto questo annoso problema.
Altro grosso inconveniente erano i rifiuti solidi urbani. Infatti il solito traijn',
periodicamente (ogni due o tre giorni), attraversava tutte le strade e
un operatore (spazzìn') munito di una
paletta e di una scopa di saggina raccoglieva quanto era stato, da altro
operatore, ammucchiato in precedenza. Il brutto si presentava, quando
nei mesi invernali, cadeva la neve e durava per alcuni giorni. La
famosa carrizz',
non poteva percorrere le strade cittadine per non rischiare le
zampe del cavallo, altrettanto dicasi per lu'
traijn', per la raccolta dei rifiuti solidi urbani. Sarà
divertente che ciascun lettore immagini cosa poteva trovarsi poi nelle
strade alla scomparsa della neve.
Questo modo di vita faceva la gioia delle mosche, zanzare, vespe,
e quant'altro. Era pertanto molto in uso a quei tempi l'acchiappamosch'.
Trattavasi di una striscia di carta oleata di colore giallo
paglierino (cm.9x100) imbevuta di una sostanza profumata e appiccicosa
su cui le mosche, zanzare, vespe, moscerini ed quant'altro rimanevano
attaccate.
Alcuni anni dopo fece la comparsa il famoso DDT meglio conosciuto
flit. Non voglio addentrarmi nei danni che apportò questa sostanza velenosa,
ma devo riconoscere che, all'epoca, essa
risolse moltissimi problemi igienico-sanitari.
Fin dai tempi antichi, era fiorente a Ceglie la pastorizia. Il
latte che si produceva (ovini e caprini) veniva lavorato sul posto
(formaggio, ricotta e derivati). Nei mesi estivi era ed è tuttora
ricercata e preziosa la cacioricotta confezionata
con latte di pecora.
Il latte, che all'epoca era alimento esclusivo per i bambini,
veniva venduto per le strade e munto al momento dell'acquisto.
L'allevatore-pastore-lattaio si annunziava al suono di una
campanella legata al collo di uno dei quattro o cinque animali che
portava al seguito, con i quali percorreva le vie cittadine al grido di latteee……….latteee…..lattee. Questa coloratissima tradizione giunta fino ai nostri giorni,
di generazione in generazione, fu vietata per motivi igienico-sanitari,
non molti anni fa (una trentina), ma la vendita del latte continuò
comunque. In sostituzione degli animali comparve un bidone in alluminio
od acciaio inox trasportato a braccia dal famoso
allevatore-pastrore-lattaio il quale sempre al grido di lattee……lattee…..lattee girava per le strade cittadine.
Nei mesi estivi, poi, nel primo pomeriggio, intorno alle 17.00,
girovagava per le strade un carretto per la vendita del gelato. Quel
signore, certo Leo Salvatore, meglio noto dalla comunità cegliese Tor'di Bamminièdd' urlava,
agli angoli delle strade gilaaat'
…..…. gilaaat' …. gilaat' …
……cattàtiv'u'gilat' e, quindi aggiungeva chiangìt',
chiangìt' piccinn', ca la mamm' vi catt' u gilat'. La
scena più folcloristica era durante la raccolta delle olive. Di primo
mattino, tante donne con u'
panàr', infilato al braccio, la testa coperta da un foulard,
generalmente di colore nero, avvolte nel loro più vecchio faccirtòn', ridendo e
scherzando attraversavano su traijn',
e a piedi le vie cittadine
per raggiungere i luoghi di raccolta. Gran parte di quelle donne
indossava più di un paio di calze fermate al disopra del ginocchio da
un elastico confezionato in casa, altre, indossavano pantaloni di taglie
vistosamente più grandi. Altra
scena era il periodo della potatura
degli alberi di ulivo. Di buon mattino, una frotta di operai con sulle
spalle una lunga scala a pioli, dopo essere stati assunti dal (fattore),
in piazza Plebiscito o nella piazza Vecchia (i luoghi dopo i contadini
potevano trovare lavoro), attraversava allegramente le strade cittadine,
la maggior parte a piedi, alcuni con il carretto (traijn'), pochi e, forse, i più garibaldini, inforcando la
bicicletta. Alla sera il ritorno era identico, con la differenza che era
visibile sui loro volti la fatica.
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