Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

Ceglie, le porte medioevali della città

di Pasquale Elia 

            

        LE  porte di accesso alla città medioevale erano tre. Quella del Monterrone, rivolta a Nord, di Juso a Est e dell'Arco della Croce a Sud.

           

LA PORTA DEL MONTERRONE.

           

La Porticella, ovvero Purtuscèdd' (Posterula), meglio conosciuta del Monterrone, è rivolta a Nord, e per la sua posizione dominante, è la più articolata, anzi la più complessa.

            Consentiva:

a.       l'accesso, a portone chiuso, ai soli pedoni, attraverso una porticina di servizio (murata ma ancora ben visibile) posta sul lato destro (per chi guarda dall'esterno), dell'ingresso principale;

b.      di esercitare una più capillare azione di controllo su chi entrava, soprattutto, e non solo; La porta del Monterrone

c.       un più spedito transito agli animali da soma muniti di basto (asini o muli e raramente anche qualche carretto).

Il portone d'ingresso era agganciato a due piedritti sormontati da un arco.

A sinistra della porta in questione, vista dalla parte interna, sorge una torre, sicuramente più volte ristrutturata nell'arco degli anni, la quale si innalza per un'altezza di circa 7-8 metri.

Questa torre era di sicuro il Corpo di guardia, locale utilizzato dal personale di vigilanza per riposare durante le ore non di servizio. Sopra la torre prendeva posto la sentinella che poteva spaziare con lo sguardo su tutte le vallate circostanti con un settore di osservazione di oltre 180°.

Questa era la porta utilizzata da coloro che provenivano dalla direzione di Cisternino - Martina e Ostuni.

Gli abitanti che avevano l'abitazione nelle immediate vicinanze della purtuscèdd'  volgarmente conosciuta del Monterrone dovevano…..gettare……….le sue mondezze, lo romato e staglio nei luoghi stabiliti dall'Università, cioè fuori la porticella, dove si dice del Monterrone……(ASBr., Platea San Domenico……a. 1744, p. 359 e segg.). Chi scrive ricorda che fino a tutto gli anni Cinquanta subito fuori la porta dove inizia la discesa era la discarica di quella zona. Si abbandonava di tutto sul ciglio di quell'altura.

E' noto che non tutte le strade del Borgo antico, infatti, erano adatte al passaggio di carri.

La conformazione orografica del terreno su cui si estende la città antica, l'idea di sfruttare al massimo gli spazi disponibili, la difficoltà pratica, a quei tempi, di livellare il terreno roccioso e ripido, sconsigliava l'uso di quel veicolo (a ruote piene e con cerchio in ferro) molto pesante. Eppoi le stradine così piccole e strette non consentivano il passaggio ed il parcheggio notturno ai carri, quindi, per il motivo di cui sopra si sviluppò l'uso del basto, certamente più maneggevole per l'uomo e soprattutto meno pesante per l'animale che carico di prodotti della terra o di legna da ardere doveva superare non facili dislivelli (salita del Monterrone e l'odierna via Bottega di Nisco).

            Era escluso il cavallo perché meno resistente dell'asino e del mulo su quel terreno accidentato come il nostro e anche animale di stazza più ingombrante nelle stalle-abitazioni. Molto spesso la porta della casa era troppo piccola per fare passare la mole di un cavallo.

            Le stradine erano e sono lastricate in modo che l'animale carico del basto, con ferri agli zoccoli e condotto a mano, percorrendo il centro della strada, non potesse scivolare con il pericolo di rompersi una gamba. Quel tipo di pavimentazione era senz'altro utile anche per gli uomini i quali, fino a meno di quarant'anni fa erano soliti riempire la parte inferiore e il bordo esterno delle scarpe da lavoro con grossi chiodi, mentre alle cosiddette scarpe della festa, per coloro che potevano permetterselo, venivano inchiodati salvatacchi e salvapunte rigorosamente in metallo.

            A titolo di cronaca, negli anni Quaranta anche ai quadrupedi, al tiro di carretti (all'epoca erano gli attuali autocarri) con carichi (uve, olive, fichi, grano, masserizie, ecc.) che dovevano percorrere strade cittadine lastricate (erano poche) o extraurbane asfaltate (Ostuni-Ceglie-Francavilla) venivano calzate una specie di calzatura ricavata da vecchi copertoni d'auto.  

           

LA PORTA DI GIUSO

 

Rivolta a levante, era conosciuta dai frati del convento di San Domenico, come la "Porta di Juso". 

Il termine dovrebbe derivare dall'avverbio di luogo "giuso" (secolo XIII-XVI), latino tardo "Jusum e Josum" con il significato di volgere, propriamente volgere in basso (C.Battisti-G.Alessio, Dizionario Etimologico Italiano, Istituto di Glottologia, Università degli Studi di Firenze, Firenze 1968, vol. III, p.1824). E' la porta, infatti, dove si trova la parte più bassa della Città di quel tempo.

Quel termine Juso potrebbe derivare anche dalla parola latina "Jus": diritto, ossia il diritto di riscuotere la tassa per chi volesse accedere in città. E da quella porta transitavano, infatti, molti mercanti, come vedremo in seguito.

Essa era ed è ancora oggi la più piccola delle due porte rimaste, ma anche la più semplice da punto di vista architettonico e la più frequentata. E' un ingresso scavato, in parte nella roccia, terminante ad arco a sesto acuto.

Sopra la porta si intravede un vano (il corpo di guardia? Le trasformazioni subite durante gli anni lo hanno reso irriconoscibile), al quale si accede dall'interno della cinta medioevale e dove forse prendeva posto la sentinella.

La porta immette direttamente sulla Piazza, più nota Piazza Vecchia.

Antica Piazza della città questa in cui, fino a non molti anni fa, si svolgeva la vita sociale cittadina. In questa Piazza si affacciava il carcere cittadino fatto costruire, nel 1568, da Giovanni Giacomo Sanseverino, IV conte della Saponara e barone della nostra città. Nell'occasione furono abbattute alcune vecchie abitazioni. Sul frontale della casa di pena, scolpita su pietra locale, fu posto l'arma della Città, raffigurante UN CASTELLO APERTO SORMONTATO DA TRE TORRI APERTE.  Da indiscrezioni sembra che lo stemma di cui sopra sia stato, da ignoti, trafugato. Stessa sorte è toccata alla statua di San Rocco collocata nella Cappella in contrada PISCIACALZE.

La domenica, di buon mattino, tra l'altro, nella piazza in questione, era un incrociarsi di dialetti e di rumori vari, si preparava infatti il consueto mercatino settimanale, con la partecipazione di molti commercianti ambulanti provenienti dai paesi circostanti. A questo si aggiungevano i rintocchi della campane delle Chiese (San Domenico, San Demetrio e Chiesa Madre, raramente anche Chiesa di Sant'Antonio Abate ed Annunciata) che richiamavano i fedeli alla celebrazione del Sacro Rito.

Con l'espansione della città fuori la cinta muraria, fu necessario trasferire anche il mercato settimanale verso i nuovi quartieri, Mammacara, San Rocco. Infatti fu portato in Piazza Sant'Antonio, via San Rocco, via Martina, Corso Verdi. Una trentina di anni fa poi, fu anticipato al sabato e spostato nella zona di Corso Verdi, infine dove attualmente si svolge.

Coloro i quali avevano le abitazioni nelle vicinanze della porta in argomento, dovevano……..gettare le sue mondezze, lo romato e staglio, fuori la porta di Juso sulla via che porta alli Cappuccini nello fondo di Natale Ligorio……. ( ASBr., Platea San Domenico, …..cit. p. 359 e segg.). Il terreno in questione doveva trovarsi all'incirca dove oggi è il Banco di Napoli.

 

LA PORTA DELL'ARCO DELLA CROCE

 

            Questa porta, ora distrutta, si trovava all'inizio di via Giuseppe Elia, già Via Municipio angolo Piazza Plebiscito.

            Veniva usata, principalmente, dalla famiglia ducale. Il corpo di guardia che abbiamo localizzato nelle altre due porte, in questa era dislocato nella torre rotonda posta a sinistra di chi accede da Piazza Plebiscito in via Pietro Elia e sulla cui sommità prendeva posto la sentinella.

            Anche questa sentinella aveva un settore di osservazione con un angolo di oltre 180°. Ma la cosa più importante è che le sentinelle delle tre porte si integravano a vicenda. Ciascuna vedetta, infatti, sovrapponeva il suo settore di vigilanza su gran parte di quello di competenza della sentinella attigua. In tal modo la sorveglianza, era per così dire, raddoppiata e quindi difficilmente poteva sfuggire l'avvicinarsi di un qualsiasi nemico od amico che fosse.

            L'accesso alla torre, riservato al personale di vigilanza, era dato da una porta, ora murata, ancora ben visibile in via Pietro Elia.

            La sorveglianza nella direzione Nord-Ovest (Sant'Anna), Ovest (San Rocco-Fedele Grande), veniva assicurata, con molto probabilità, con una sentinella posta sulla sommità della torre di stile aragonese posta all'interno dei giardini.

            In particolari momenti di emergenza la sommità della torre normanna, alta intorno ai 35 metri, diventava un punto di osservazione eccezionale.

            Gli abitanti che si trovavano nelle vicinanze di questa porta dovevano…..gettare la frascina e terrazzo nel solito luogo dove l'Università paga il censo all'Abbate Pietro Menghi, esattamente nello stesso luogo delle mondezze e romato dove sarà posto il segnale (ASBr., Platea San Domenico…….a. 1744, p.359 e segg.).

 

 

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