Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

Ceglie e l'antico popolo dei Messapi

di Pasquale Elia 

            

        LE prime notizie sulla città di Ceglie, avvalorate da documenti, risalgono ai Messapi, popolazioni orientali scese nelle nostre contrade parecchi secoli prima della fondazione di Roma.

            In precedenza è un fitto buio, che si addensa nei misteri della preistoria; dell'epoca cioè primordiale dei dolmen, dei menhir, delle specchie, monumenti unici in Italia, che ancora oggi si trovano sparsi qua e là in quell'angolo di terra salentina.

            Specchia, uguale cumulo di sassi uguale vedetta uguale altura (cfr. G. Rohlfs, Studi e ricerche su Lingua e dialetti d'Italia, Toponomastica Italiana, p.54), è da intendere quindi quale torre di avvistamento.

            L'abbondante messe di materiale archeologico venuto fuori dagli scavi, rivela chiaramente, che dove oggi sorge la città di Ceglie e dintorni, in quei tempi remoti, esisteva un importante centro messapico.

            Il mondo messapico, prima dell'impatto con la politica di Roma, era composto di realtà etniche che conducevano guerre e stipulavano trattati come unità politiche e che potremmo definire leghe.

            E come unità politica quelle leghe furono sconfitte da Taranto, intorno al 490; i Messapi si allearono con le popolazioni confinanti ottenendo una clamorosa rivincita, nel 473.

            Le popolazioni indigene della Puglia, in genere, si scontrarono ripetutamente con i Greci per la supremazia territoriale.

L'unione delle città messapiche contro Taranto nella guerra del 471 a.C. accenna ad una federazione politico-militare. Alla ferocia con cui i Greci e i Tarantini distruggono ed oltraggiano Carbinium [odierna Carovigno (Athen, XII, 522 d)], i Messapi replicano con la vittoria del 471 che secondo Erodoto (VII, 170), fu per i Greci la più grave disfatta che avessero mai subìto.

            Gli eserciti di Taranto e di Reggio Calabria, dunque (Erodoto VII, 170), ricevettero una ennesima sonora sconfitta proprio sotto le mura di Kailìa, odierna Ceglie (IV-III secolo a.C.), [cfr.S.Jurleo, Ostuni città messapica, preistoria e storia, Fasano 1993, p.164-171]. 

Per quanto riguarda questa battaglia campale mi trova un po' perplesso. E spiego anche il motivo. Se così fosse stato, sarebbe giusto ed onesto prendere in considerazione anche che ci sarà stato, di sicuro, un gran numero di morti da ambo le parti. Quei caduti devono essere stati sepolti nelle immediate vicinanze del campo di battaglia, se non proprio sullo stesso campo di battaglia, non possono essere stati trasportati in altro luogo o addirittura rimpatriati nelle città di Taranto e di Reggio. Gli eserciti di quella coalizione furono messi in fuga ed inseguiti nella loro precipitosa ritirata verso Taranto.

Se riteniamo, pertanto, tutto questo per oro colato, nei pressi del cosiddetto paretone (all'esterno), dovrebbe trovarsi un grosso cimitero di quell'epoca; il problema è dove e come cercarlo. E se la battaglia (se per davvero ci fu) si fosse svolta in altro luogo? Contrada Facciasquata o dintorni, per esempio? 

Il motivo di questo mio dubbio è dovuto al fatto che in quella località sono ancora visibili resti di antiche mura e le cosiddette specchie (torri di avvistamento), intervallate lungo la cinta muraria più esterna, sono tutte dislocate a Sud e a Sud-Est del territorio metropolitano (A. Cocchiaro, I dati Archeologici, cit., Planimetria del territorio comunale, Allegato a; P. Magno, Storia di Ceglie Messapica, Fasano 1992, p.264, cartina). Due di esse (Carlo di Noi Superiore e Giovannella) sono posizionate addirittura ad oltre 4 chilometri più in profondità, è come se fossero due pattuglie poste in avanscoperta. Perché?

 

Questo mi induce a pensare che il nemico dovesse provenire esclusivamente da quella direzione. Ma dalle quelle parti non era territorio messapico? L'Esercito tarantino perché doveva buttarsi nella piana dell'odierna Francavilla? Per fare meglio manovrare la sua cavalleria? Ma se le fortificazioni messe in atto intorno al territorio cegliese portano a pensare che il concetto di difesa messapico era la difesa ad oltranza del paese, una guerra di posizione (P. Magno, Storia di Ceglie Messapica, Fasano di Puglia 1992, p.252), con il logoramento sistematico del nemico, con piccole scaramucce mai una battaglia in campo aperto tra i due eserciti contrapposti.

E allora perché non pensare che la nostra Ceglie fosse in territorio Peuceto come affermano molti storici dell'Università degli Studi di Bari [cartina Neapolitanum Regnum, (J. Hondius, Atlas, Leida 1620 ca.), e Puglia piana, Terra di Bari, Terra di Otranto, Calabria et Basilicata, (da Mercatore 1600 ca.), in Civitas Neritonensis, la storia di Nardò di Emanuele Pignatelli ed altri contributi, (a cura di), M. Gaballo, Martina Franca 2001, p.14 e 16]. Il predicato Messapico, infatti, fu aggiunto soltanto nel 1864.

Nel 467 a.C. fu una coalizione di Apuli a battere i coloni Greci.

Nella prima metà del IV secolo a.C. in Puglia, esistevano insediamenti indigeni di origine Illirica-Japigia (Japigi gruppo di popolazioni giunte in Italia, intorno al 1000 a.C. dall'Illiria e dall'Epiro, dapprima stanziatasi sul Gargano e poi nella Puglia e nel Bruzio, (odierna Calabria), distinti in Peuceti (sistemati sulle Murge), Messapi (sparsi nel Salento) e agglomerati per città Stato, che facevano parte della federazione dei Greci d'Italia e, Taranto era la città egemone di questa federazione.

In un episodio accennato da Strabone, troviamo i Messapi schierati contro Taranto; con Taranto furono alleati i Peucezi e i Dauni (Strabone 6,3,4,281). Ancora Messapi e Peuceti, alleati, furono sconfitti, poco dopo, nel 465, da Taranto.

            Il re Artas dei Messapi, al tempo della guerra del Peloponneso, nel 415, era legato ad Atene da un trattato di alleanza [cfr. Ateneo, Deipnosophistae 12, 522, d-e; c.473; Diodoro, 11, 25, 11 (Erodoto, 7, 170, 3); Aristotele, Politica, 5, 1303 a.3; c.465; Pausonia, 10, 13, 10; Artas: Tucidite, 7, 33, 3-4].

            Quando poi Taranto per proteggersi dalla minaccia osco-lucana, si rivolse al re di Sparta, Archidamo, il quale accorse in Italia, nel 338, ai Lucani si allearono i Messapi e i Peucezi.

Archidamo morì in una cruenta battaglia sotto le mura di Manduria quello stesso anno 338 a.C.

            La morte del re di Sparta sotto le mura di quella città potrebbe significare che la Capitale della cosiddetta Confederazione Messapica era, all'epoca, la città di Manduria, non Oria, né Mesagne, né Brindisi, né Nardò, né Cavallino, né tanto meno la nostra Ceglie. Eppoi in quella città sono stati rinvenuti resti di un grosso insediamento messapico, al momento custodito e recintato.

            In una successiva spedizione in difesa di Taranto contro i Bruzi e i Lucani, nel 333, il re epirota Alessandro il Molosso, dapprima combatté contro i Messapi, poi, si alleò con loro e con i Peucezi, aprendo con geniale intuito ai Romani.

            Gran parte del III sec. a.C. è caratterizzata da una grave crisi che tocca tutta la Puglia e non solo essa. Alle devastazioni di città e di campi coltivati, dovute alla presenza di numerosi eserciti combattenti, si accompagna il crollo del tradizionale quadro storico ed il conseguente radicale mutamento di secolari strutture economiche, sociali e politiche. Basti ricordare la sconfitta di Taranto da parte dei Romani (272 a.C.), la conquista romana dell'intera Puglia (266 a.C.), la fondazione della colonia di Brundisium (244 a.C.), la sanguinosa II guerra punica (218-220 a.C.), con la presenza prolungata dell'esercito di Annibale proprio in Puglia. Alla fine di questo periodo tumultuoso ci si troverà dinanzi ad una regione profondamente mutata rispetto a quella della fine del IV e degli inizi del III secolo [cfr. E. Gabba, Sulle strutture agrarie dell'Italia romana tra III e I sec. a.C., in AA.VV. Strutture agrarie e allevamento transumante nell'Italia romana (III e I sec. a.C.), Pisa 1979, pp.13-17; F. Ghinatti, Magna Grecia postannobalica in Quaderni di Storia, III, 5, 1977, pp.147-169; M. Pani, Economia e società in età romana, in AA.VV., Storia della Puglia, Bari I, 1979, pp.99.124].

            Si afferma che i Tarantini facessero dei patti di non belligeranza o addirittura di alleanza vera e propria con i Messapi, in genere, e con Ceglie, in particolare, per combattere la potenza di Roma. Allo stato attuale delle indagini, non sono state trovate attestazioni per quanto riguarda le pretese alleanze tra Taranto e Ceglie.

            …….ma i Tarantini facendo intendere che quelli, da alleati che erano, sarebbero diventati facilmente e presto loro padroni, sciolsero la lega Appulo-Romana, per formarne un'altra di popoli liberi Salentini contro gli invasori romani. E perché questa nuova lega difettava di soldati, fu dall'Epiro chiamato Pirro; insieme con il quale combatterono i vari popoli della penisola: Messapi, Lucani, Tarantini…..(cfr. F.Ascoli, La Storia di Brindisi, p.10).

            La campagna di Roma contro i Messapi e i Salentini, nel 267 e nel 266 a.C., completò l'espansione romana nell'Italia meridionale [Fasti triunphales, trionfo sui Salentini, nel 267; su Salentini e Messapi nel 266 (cfr. Livio, Periocha, 15)].

Dopo le campagne militari dei Romani contro i Messapi salentini del 267-266 a.C. anche le altre popolazioni indigene della Puglia stipularono accordi con Roma. I Messapi furono alleati con Roma nelle prime due guerre sannitiche (3° secolo a.C.), romanizzati completamente dopo il 90 a.C. Ciò consentì ai Romani di poter disporre del porto di Brindisi per gli scali commerciali con l'Oriente e di fondarvi una colonia latina nel 244 a.C.

Con la concessione della cittadinanza romana a tutti gli italici nell'89, le città divennero municipi romani. La latinizzazione fu un processo lento e si generalizzò con la municipalizzazione.

            Ceglie aveva una sua storia ancora prima dell'arrivo dei Romani, essa si nasconde, come avviene per decine e decine di centri autoctoni della Puglia, nel silenzio della letteratura greca, avara di informazioni sui nomi e sulla vita dei centri aborigeni lontani dalla costa.

            Della Ceglie romana non ci rimane niente, proprio niente, segno che la popolazione cegliese emigrò verso la Capitale, Roma, dove si integrò completamente con quelle popolazioni.

                Mi preme precisare, a questo punto, che i Messapi non erano barbari, come qualcuno potrebbe pensare, era una etnia civilissima, una popolazione che conosceva la scrittura, aveva un avanzato sistema politico, possedeva una sua religione e, per di più, le fonti pitagoriche del IV secolo citano messapi discepoli di Pitagora (cfr. AA.VV. Storia del Mezzogiorno, p.252). La loro civiltà risaliva ai precedenti rapporti commerciali e culturali con la Grecia.

            Il Messapico era anche una lingua parlata e scritta in Peucezia e in Daunia, con lievi varianti soprattutto nella Daunia.

            La lingua dei Messapi è detta dai Greci, indistintamente, messapica; ma i Messapi erano anche coloro che, rispetto agli italioti, non parlanti lingua greca o italica (P.Elia, Ceglie Messapica, La Storia, Manduria, 2000, p.17).

Il Messapico era un idioma che è documentato da glosse e iscrizioni dalle quali si deduce la sua appartenenza al gruppo illirico, di cui, ancora oggi, conserva alcune peculiarità fonetiche (Vocabolario della Lingua Italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, fondata da Giovanni Treccani, Roma 1991,vol. III, p.175).

Il linguaggio e i dialetti messapici, scomparvero quasi interamente quando nuove popolazioni s'imposero sugli indigeni abitatori. Frammenti non decifrabili della lingua degli Autoctoni rimangono unici documenti del periodo messapico, interamente ancora buio. Questi avanzi si riducono ad un centinaio circa di iscrizioni.

Il dialetto cegliese è completamente diverso dal leccese (città troppo lontana per i mezzi di comunicazione del tempo), dal tarantino (città vicina, ma scarsamente collegata e di irrilevante interesse commerciale) e dal brindisino (città abbastanza vicina ma fino a circa 70 anni fa di poca importanza commerciale per il cegliese).

            La nostra parlata, è un gergo tutto particolare, nella fonetica, nella cadenza ritmica, nella melodia dei suoni, oltre che nel significato vero e proprio del vocabolo. Avrete notato che è diverso dall'ostunese, dal martinese, dal francavillese, per non parlare poi del cisternese, anche se queste sono città confinanti con la nostra Ceglie. Sappiamo che fin dai tempi più remoti sono intercorsi scambi commerciali con quelle cittadine, si sono avuti matrimoni, verificati trasferimenti di residenze da ambo le parti, e, pur tuttavia, il dialetto cegliese non è cambiato, è rimasto lo stesso, non ha subito l'influenza degli altri idiomi, è rimasto insomma unico nella zona.

            Vorrei segnalare che il nostro dialetto altro non è che la LINGUA dei nostri antenati, con tutte le sue regole, ma, per fortuna, non ancora imbastardita. In questo vernacolo è racchiuso tutto il nostro passato, tutta la nostra millenaria civiltà e tradizione, secoli e secoli di storia cittadina. Sarebbe oltremodo auspicabile non perdere quella cultura, sarebbe quanto mai opportuno incoraggiare le giovani generazioni, studenti e non, a curare e coltivare il dialetto con poesie e stornelli, filastrocche, recite e spettacoli, con concessioni di premi e anche borse di studio.

            Nelle scuole cegliesi, per esempio, si potrebbe inserire almeno un'ora settimanale per insegnare, oltre alle canoniche materie, anche il dialetto e le tradizioni locali. E' una idea, mi auguro che venga raccolta da qualcuno di coloro che contano.

            I Messapi erano, oltretutto, dei valorosi guerrieri e famosi allevatori di cavalli (cfr. O. Elia, Civiltà e cultura dei Messapi, p.36). Era un popolo che voleva vivere in pace, ma diventava terribilmente bellicoso se attaccato. La loro maggiore fonte di sostentamento era, unitamente alla caccia, l'agricoltura e la pastorizia.

Ceglie quando era abitata da quelle popolazioni, doveva essere, per la sua posizione geografica, a cavallo tra la valle d'Itria e la pianura leccese, di sicuro, un centro di notevole importanza strategico-militare e, una città chiamata CAELIA, viene ricordata da Plinio (Naturalis Historia, 3, 101,105), Strabone e Catone.

Della CAELIA in argomento che …..può identificarsi con l'abitato della nostra città…….potrebbero aver determinato un diverso assetto nel territorio benché CAELIA sopravvisse in età romana come attesterebbero alcuni rinvenimenti monetali (cfr.A. Cocchiaro, I dati archeologici, in Messapica Ceglie, Ceglie Messapica 1999, p.9). Troppo poco per affermare l'esistenza di un insediamento di rilevante importanza politica, militare, storica e culturale con la presenza solo di alcuni rinvenimenti monetali.

Allo stato attuale delle conoscenze - continua Assunta Cocchiaro (pag. 10) - manca qualsiasi testimonianza dell'abitato e  delle necropoli ……Eppure Caelia, citata da Plinio seppure in posizione subalterna nel territorio rispetto a Brindisi, doveva avere una sua vitalità anche in età romana.

            Le fonti di Strabone (IX, 405 = 2,13) tramandano l'arrivo di Messapo dalla Beozia in Messapia: le popolazioni che i Greci in epoca storica trovarono stanziate nel Salento avrebbero avuto origine dalla Beozia; qualche nome come Hyria in Beozia torna anche in Hyria di Puglia (G. Semerano, Le Origini della Cultura Europea, Firenze 1984, vol.II, p.804).

            Detto da Servio, figlio di Nettuno, Messapo, i cui guerrieri Virgilio, scorge come cigni che volano cantando, è in realtà nome assimilato a Messapi, ma è di divinità del mare, come Diomede.

            Secondo alcuni storici, Messapo fu Principe etrusco, figlio di Posidone, eccellente domatore di cavalli che, secondo l'Eneide (VII, 691), mosse in aiuto di Turno contro i Troiani (Lessico Universale Italiano di Lingua, Lettere, Arte, Scienze e Tecnica, Roma 1974, vol. XIII, p.448).

            A dire di Dionisio di Alicarnasso i primi Greci che solcarono il Mare Ionio erano Arcadi, condotti da Enotro e Peucezio, figli di Licaone, figlio a sua volta di Deianira e di Pelasgo, il quale finalmente era figlio di Zeus e di Niobe.

            Per altri (Giovanni Semerano, cit.), invece, il significato originario di Messapi è genericamente STANZIAMENTO, solo successivamente l'etnico fu ricalcato per indicare specificamente le popolazioni del Salento, tra lo Ionio e l'Adriatico; la voce fu sentita dai Greci come TERRA TRA I DUE MARI [cfr. Lessico Universale italiano …cit. vol. II, p.498, Salento da Salo = mare;  Salento di Puglia richiama Selunto (Geogr.Rav.IV,21), Salluntum (Itin., Ant., 338), della Dalmazia, Salon in Illiria, affacciata al mare e sul fiume Iader].

            Secondo i più aggreditati studiosi il Messapico non è altro che l'antico illirico (Helbig, Hermes, XI, 1876, p.257; Deecke, Rheinisches Museum, p.36 e sgg; Kiepert, Lehrbuck die Alt. Geograph, 450; Schulze, Zur Geschicte lateinischer Eigennamen, p.29 e sgg; O. Parlangèli, Studi Messapici, 1960, p.401 e sgg; G. Semerano, cit., p.286; E.Hamp, Misc. Whatmough, p.79; F. Ribezzo, La lingua degli antichi messapi).

            L'Illiria deriva oltre che dal fiume Illu anche da un presunto eponimo, Illyrius, figlio di Cadmo, nato quando questi si trasferì da Tebe nella terra che poi si dirà Illiria. Encheleo, figlio di Illirio, è l'eponimo della tribù illirica degli Enchelei che nel VII secolo si stanziarono nel territorio dell'odierna Albania. L'Illiria comprendeva gran parte dei territori del versante adriatico della penisola balcanica. Gli Illiri era una antica popolazione indoeuropea.

            Filoni di lingua illirica si ritrovano, tra l'altro, dove sono i Sallentini illirici e Giapidi (tavole iguvine). Il nome del poeta Ennio si ritrova in regioni illiriche.

                  Testimonianza della civiltà messapica sono le TROZZELLE, tazze con grandi manici, e le GHIANDE, pietre o piombo della grandezza di una noce, che venivano lanciate, con tanta forza, per mezzo di fionde, che, quando colpivano il bersaglio, arrecavano danni come fossero dei veri e propri proiettili.

            Antichi vasi messapici

            La divinità dei Messapi era denominata MENZANA "Pluvio", Sallentini apud quos Menzanae Iovi dicatus vivos (sc.equus), conicitur in ignem (Paul ex Fest. P.190 L, s. October equus).

            Si tratterebbe di un attributo di Giove (G. Semerano, cit. vol. I, p.286). Fin dai quei lontani tempi, Ceglie, in particolare, ed il Salento tutto, in genere, hanno avuto grandi problemi nell'approvvigionamento dell'acqua.

            Il sistema insediativo indigeno diffuso nelle aree interne è caratterizzato da raggruppamenti di capanne, sparse in vaste superficie di territorio, in ragione di un migliore sfruttamento agricolo. Le capanne vengono descritte a pianta circolare od ovale, formate da una struttura di sostegno in pali di legno, dalle pareti e dalla copertura di canne e di rami impermeabilizzate con l'aggiunta di strati di argilla [cfr. M.O. Acanfora, Avanzi di abitato capannicolo a Francavilla Fontana (Brindisi), R.S., VII, 1952], ..una capanna delimitata da una rozza struttura arcuata in calcare con piano di calpestio in argilla, entro cui si inserivano dei pali lignei, atti a sostenere l'alzato [A. Riccardi, La ricerca archeologica nel territorio di Rutigliano fra gli anni 1985 e 1989, in AA.VV., Il territorio di Rutigliano in età antica, Palermo 1992, p. 82; A. Riccardi, Rutigliano (Bari) S. Martino, in Notiziario delle attività di Tutela, Taras VIII, 1-2-1988, pp.23-24].

            Se le capanne di cui sopra fossero state abitate da gente dedita all'agricoltura, alla pastorizia e all'allevamento del bestiame, se quei manufatti fossero i progenitori dell'odierno nostro pagghjaro?  L'interno di quelle capanne conteneva, tra l'altro, il focolare e, molto spesso, grandi recipienti per la conservazione delle provviste.

            Le capanne potrebbero aver fatto parte di insediamenti rurali come quelli documentati a Salentino presso Acquaviva delle Fonti [cfr. G. Andreassi, Scavi e scoperte. Salentino (comune di Acquaviva delle Fonti, Bari), in Studi Etruschi, XLIX, 1981, pp.472-473], o a San Lorenzo, una località presso Francavilla Fontana (cfr.A. Marinazzo, La necropoli messapica di San Lorenzo (Francavilla Fontana), in Testi e documenti del Museo di Mesagne, III, 1980; Raffaella Cassano, Dalla lega peucezia al municipio romano, in Storia di Bari dalla preistoria al Mille (a cura di) F.Tateo, Bari 1989, p.134; E.M. De Juliis, Il territorio di Bari nell'ambito della cultura iapigia, in Storia di Bari dalla preistoria al Mille(a cura di) F.Tateo, Bari 1989, cap.IV, p.82).

            Proprio a Francavilla Fontana, alcuni anni fa, furono trovati i resti di un capannicolo (cfr. M.O. Acanfora, cit.), un villaggio a capanne dell'età del ferro fu rinvenuto anche a San Vito dei Normanni e alcuni villaggi ancora a Francavilla Fontana (cfr. F. Maccia, L'ambiente biologico, in Storia di Bari, dalla preistoria al Mille (a cura di), F. Tateo, Bari 1989, p.22), infine, i resti di una capanna a Lama San Giorgio in contrada San Martino in Rutigliano (cfr. A. Riccardi, cit, p.82).

            Francavilla Fontana, San Vito dei Normanni, Acquaviva delle Fonti e Rutigliano non sono poi così tanto lontano dal nostro territorio. E' da supporre pertanto che anche Ceglie fosse costituita da un agglomerato di capanne sul tipo di quello delle città vicine.

Forse proprio perché l'abitato era un capannicolo costituito da capanne con struttura di sostegno in pali di legno, canne e strati di argilla non ci è giunta alcuna attestazione di quel centro abitato. Il tempo poi ha pensato a distruggere quei primitivi manufatti. Infatti non abbiamo alcuna testimonianza di quel periodo, ad eccezione di alcune tombe. A proposito di tombe, il rito funerario dominante dei Messapi era quello dell'inumazione. Il defunto, secondo un rituale molto antico, veniva deposto su di un fianco con le gambe piegate in posizione rannicchiata e con il viso rivolto ad Oriente [cfr. E.Allen, Pietre di Puglia - Dolmen, trulli e insediamenti rupestri, Bari 1984, David Randall-Mc Iver, The Iron Age in Italy (Oxford: Claredon Press, 1927), pp.241-242; brani di Italy before Rome, pp.152; P.Elia, Ceglie Messapica, La Storia, Manduria 2000, p.22; Raffaella Cassano, Società e Cultura figurativa, cap.2, Kailia: l'abitato e la necropoli, in Storia di Bari dalla preistoria al Mille (a cura di) F.Tateo, Bari 1989, p.144].

Questa usanza di guardare verso Est fu ripreso da molte religioni tra cui anche dai cristiani i quali costruirono le loro chiese proprio con l'altare maggiore rivolto ad Oriente, cioè il viso rivolto ad Est nell'atto di pregare (A.B. Berger, Dizionario Enciclopedico della Teologia, della storia della Chiesa, degli Autori che ha scritto intorno alla Religione, dei Concilii, Eresie, Ordini Religiosi, ecc. Tradotto in italiano da Padre D. Clemente Biagi, Venezia 1827, Edizione originale 1724, Tomo I e VII).A riprova di quanto sopra basta vedere, a Ceglie, la Chiesa Madre, la Chiesa di San Demetrio, la Chiesa della Santissima Annunciata, poi, la Cattedrale di Oria, la Cattedrale di Brindisi, la Basilica di San Nicola a Bari, la Basilica di San Pietro nella Città del Vaticano, il Duomo di Milano, il Duomo di Como, ecc. Anche gli islamici si rivolgono ad Oriente quando pregano.

La presenza di tombe sparse un po' ovunque sul territorio metropolitano ci fa pensare a tante piccole tribù politicamente autonome, ciascuna con il proprio piccolo cimitero.

A parere di molti studiosi le tombe di quelle popolazioni erano collocate accanto o, in certi casi, addirittura all'interno stesso delle abitazioni (capanne). Il rinvenimento, all'interno della capanna, di una tomba arcaica ad enchytrismos…..sul fondo della sepoltura, appartenente ad un giovane guerriero, si trovava lo scheletro in posizione contratta sul fianco destro…. (cfr.A. Riccardi, cit. p.82).

Il costume iapigio non prevedeva una netta separazione tra abitato e necropoli, cosicché le tombe si trovano sparse, non lontane dalle capanne (cfr. E.M. De Juliis, cit. p.83). Persiste…..l'uso iapigio di seppellire i morti vicino alle case, anche intra muros….(cfr. E.M. De Juliis, Il territorio di Rutigliano nel primo millennio a. C. Palermo 1992, p.14).

Osservando l'ubicazione delle aree di necropoli…..sembra dedursi una logica di distribuzione sparsa per nuclei abitativi….come si è riconosciuti in altri insediamenti messapici (cfr A. Cocchiaro, L'Età classica ed ellenistica, in Messapica Ceglie, Ceglie Messapica 1999, p.29).

La consistenza di questi stanziamenti e il loro sviluppo economico era legata alla rete di comunicazioni.

Su Egnazia (per alcuni storici dell'Università degli Studi di Bari, la città era territorio peuceto), Carbinia, Brindisi, Taranto poggiavano, in una essenziale ma efficace rete stradale, gli insediamenti interni, dai più immediati (Ostuni), ai più profondi (Ceglie, Manduria, Oria).

Gli studi condotti sulla viabilità pre-romana della Messapia hanno evidenziato un collegamento di Ceglie con Egnazia a Nord e con Oria a Sud (cfr. A. Cocchiaro, L'Età classica ed ellenistica, in Messapica Ceglie, Ceglie Messapica 1999, p.29).

            Verosimilmente quel troncone seguiva un percorso che raggiungeva il sito di Ceglie, via Laureto, dintorni masseria San Pietro. Proprio nelle immediate vicinanze di quella masseria furono trovati, infatti, alcuni anni fa, i resti di una strada lastricata. Altra ipotesi, d'altronde molto probabile, potrebbe essere quella che da Egnazia via odierna località di Cisternino, Pascarosa, masseria Giuseppe Nisi, Galante, quindi Ceglie per proseguire in seguito per Oria. E' da tenere presente che Oria era una città molto importante all'epoca tanto che poi i Romani fecero passare la via Appia proprio da quel sito.

Tutte le popolazioni successive (romani, saraceni, bizantini, normanni, spagnoli, francesi, ecc.), hanno utilizzato quelle vie di comunicazioni ampliandole, a volte.

Osservando le vecchie carte topografiche dell'Istituto Geografico Militare possiamo rilevare, per esempio, che la strada Ceglie-Ostuni, di quel tempo, molto tortuosa e stretta (da 1 m. a 1,5 m.) tra l'altro, nel tratto iniziale è ancora percorribile (a piedi) per un paio di chilometri, forse di più.

Potremmo supporre che Egnazia era il porto di Ceglie (Cisternino e Fasano non esistevano) sull'Adriatico. Forse questo poteva e doveva esser il motivo di oltre tre secoli di guerra con Taranto.  

 

 

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