"Giovedì di settembre", l'origine di un rito
di Pasquale Elia
A quei tempi il mercato settimanale veniva effettuato di domenica. E la domenica mattina tutti i negozi piccoli o grandi, erano pertanto aperti, era come fosse una giornata infrasettimanale, ossia tutti lavoravano, almeno per l’intera mattinata. Intorno alle 12.00 – 12.30, ma anche prima, i papà (il resto della famiglia era già in campagna fin dall’alba del 17 agosto, giorno dopo la festività di S. Rocco), sospese le attività lavorative, chiusi negozi, botteghe, saloni di barbiere, acquistata “a’frasck” (il sedano) dal mercato di frutta e verdura (piazza Sant’Antonio, dove ora insiste l’Ufficio postale), si avviavano con ogni mezzo (traìn’, sciarabàll’), ma la gran parte, a piedi, alle località di campagna. Qualcuno anche in bicicletta, ma erano molto molto rari I componenti della famiglia, la quale rimaneva in campagna fino alla fine di ottobre, provvedevano alla raccolta delle mandorle, delle noci, dei fichi che facevano essiccare al sole e alla fine della cosiddetta villeggiatura vendevano ai vari commercianti locali ed alla raccolta dell’uva che veniva poi trasformato in vino. Fin dai tempi più antichi si è sentita la necessità di aver a disposizione una giornata piena libera da impegni lavorativi da trascorrere in famiglia in allegria con moglie, figli, genitori, amici, conoscenti e vicini di luèk’. Fu scelto il giovedì, a mio parere, per il semplice fatto che è un giorno che cade a metà settimana, quindi anche buono per riposare dal duro lavoro. E all’epoca i lavori erano davvero molto duri. Si trattava di sgobbare dall’alba fino al tramonto del sole. E’ noto che con il salario dell’epoca era molto difficile comprare la carne, la si mangiava, almeno per il 90% della popolazione, nelle grandi festività (Natale, Capodanno, Pasqua, Sant’Anna e San Rocco). Ma per il mese di settembre si verificava un’occasione eccezionale. E qual’era l’occasione? Il 13 agosto. Proprio quel giorno si celebra a Ceglie, la Fiera della Assunta. Le ragazze da marito che, per tutto l’anno, vivevano in campagna, quel giorno indossavano il vestito più bello, o confezionato a mano dalle mamme o dalle nonne, per l’occasione. Molti cosiddetti “artieri” acquistavano una mezza dozzina di pulcini che portati in campagna venivano liberamente allevati, quindi nel mese di settembre (1°, 2°, 3° e 4° giovedì) erano cresciuti tanto da poter essere consumati. La mattina del giovedì la padrona di casa, o la nonna, di buon mattino, preparava le orecchiette e/o i maccheroncini (con farina integrale di grano duro), ammazzava u’ jaddùzz’, e lo preparava ripieno al ragù. Con quell’intingolo dopo una bella spolverata di cacioricotta, si condiva la pasta. E’ da tenere presente che non tutti i giorni veniva consumata pasta. Per gli altri giorni c’erano i ceci, le fave, i fagioli, le lenticchie, ecc. Alla sera ci si riunivano i parenti, gli amici e il vicinato e al suono di un qualche vecchio giradischi, noto allora con il termine di grammofono, i giovani trascorrevano la serata nel più sano divertimento, mentre le persone con più anni sulle spalle relegate in un angolo chiacchierano del più e del meno.
(Pubblicato il 07/06/2004)
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