Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

La Chiesa Madre di Ceglie Messapica

di Pasquale Elia 

            

        PER  Chiesa Madre o Matrice si intende il primo Tempio costruito sul territorio da cui poi sono nate le altre chiese cittadine (Biblioteca Capitolare del Duomo di Monza, A.B. Berger, Dizionario Enciclopedico della Teologia, della Storia della Chiesa, degli Autori che ha scritto intorno alla Religione, dei Concilii, Eresie, Ordini Religiosi, ecc. Tradotto in italiano da Padre D. Clemente Biagi, Venezia 1827, Edizione originale 1724, Tomo I e VII). 

La Chiesa Madre (XVI secolo)Avrete certamente notato che la porta principale di questa chiesa, così come quelle della maggior parte delle chiese cittadine, è rivolta ad OCCIDENTE (la diroccata San Demetrio, l’Annunziata, la costruendo San Lorenzo da Brindisi, quella della Casa di riposo San Giuseppe, quella dell’Immacolata Concezione – Opera don Guanella, quella delle Suore domenicane di S.Sisto, ecc.), di conseguenza, l’altare maggiore è orientato ad ORIENTE.

Generalmente parlando – scrive A.B. Berger – l’altare della chiesa era rivolto verso l’oriente, verso cui solevano pregare i cristiani. Usavano i primi cristiani di rivolgersi dalla parte dell’oriente a pregare Dio, ed erano persuasi che questa pratica venisse dagli Apostoli. Quando si fabbricarono le antiche basiliche, si ebbe attenzione di situare la porta ad occidente, ed il coro con l’altare ad oriente….. (A.B.Berger, Dizionario Enciclopedico della teologia, della storia della Chiesa, degli Autori che hanno scritto intorno alla Religione, dei Concilii, Eresie, Ordini religiosi, cit., Tomo I, p.190-195). ….I Padri assegnano diverse mistiche ragioni di tale uso….. (A.B. Berger, cit. Tomo VII, p.302-393).

Devo precisare che fino a non molti anni fa il sacerdote durante la celebrazione della Santa Messa  volgeva le spalle ai fedeli, quindi anche costui volgeva il suo viso ad ORIENTE

Anche gli islamici quando pregano, hanno come punto di riferimento l’ORIENTE. Gli stessi induisti si rivolgono a LEVANTE, perché in questo modo, a loro dire, possono raggiungere “la consapevolezza spirituale”.

La vecchia Chiesa, quella altomedioevale, fu ristrutturata (reparavit) tra il 1521 e il 1525, fin dalle fondamenta (funditus), al tempo dei coniugi Aurelia e Giovanni Sanseverino i quali vollero fortemente quell'opera, con il contributo dell’Universitas (odierno Comune) e di tutto il popolo cegliese. A ricordo di quell’impresa fu collocata sulla facciata del Tempio una lapide. Quel termine reparavit ci dà ad intendere che all’epoca preesisteva altra chiesa, edificata certamente molti secoli prima, se teniamo per buono che nel IV secolo nacque a Ceglie e quivi fu battezzato Giuliano, vescovo di Eclano, strenuo assertore delle teorie pelagiane [Cesare Barone, latinizzato Baronius (1538-1607), cardinale e storico, in Annales Ecclesistici; L. Giustiniani, Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1804; A.D’Amato, Sant’Agostino e il vescovo pelagiano G., Avellino 1930;  G. Morin, Un ouvrage restituè à Iulien d’Eclanum, in Revue bénèdictin, 30 (1913), p.1-24; F.Casotti-S.Castromediano-L.Desimone-L.Maggiulli, (a cura di) G. Donno – A. Antonucci – L. Pellé, Dizionario Biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto, Martina Franca 1999, p.235; M. Ciracì, Patriae Decor, Oria 1995, p.59).

Quella Chiesa era, nei tempi antichi, ed ancora oggi è, La Chiesa principale di Ceglie e fu dedicata a Santa Maria Assunta. (G.Magno-P.Magno, Storia di Ceglie Messapica, Fasano, 1992, p.324). Era l’unica chiesa cegliese dove veniva celebrato il sacramento del battesimo, perché la sola con il Fonte battesimale, la sola parrocchia della città.

Il dogma dell’Assunzione è il coronamento della divina maternità, della perpetua verginità e dell’esenzione di Maria dal peccato originale. Esso fu definito da Pio XII il 1° novembre 1950. La formula è così concepita: “definiamo essere un dogma da Dio rivelato che l’Immacolata Madre di Dio, sempre Vergine Maria, terminato il corso della vita terrena fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo” (cfr. Pio XII, cost. ap. Munificentissimus Deus, in AAS., XLII, 1950, p.770).

Con le parole “….terminato il corso della vita terrena……” il Papa prescinde dall’indicare in quale modo Maria abbia chiusa la vita terrena (Bibliotheca Sanctorum, Roma 1961, vol. VIII, p.871). 

I coniugi Sanseverino erano originari di Saponaria, poi Saponara, quindi Grumento Nova in provincia di Potenza. Quella città era il feudo prediletto di quel ramo non meno importante dei Sanseverino. I personaggi più in vista di quel Casato furono, per la maggior parte, tumulati tutti nella Cappella della famiglia nella città in argomento.

A quei tempi, non c’erano ancora i cimiteri, si usava perciò tumulare all’interno delle chiese. Le famiglie agiate e il Clero facevano costruire le Cappelle (gli altari laterali) dove poi riservandosi lo jus Patronatus vi seppellivano i loro cari, mentre la gente comune veniva interrata in cimiteri allestiti, di norma, all’esterno delle chiese, o sotto il pavimento dello stesso Tempio. E’ noto a tutti che sotto il pavimento della nostra chiesa sono accatastati centinaia di cadaveri. Devo segnalare inoltre che un certo Annibale Gioia, nel 1607, nel suo testamento lasciò come disposizione al figlio che…..faccia una Cappella nella Chiesa Madre di Ceglie con spendere quanto ad esso parera con farci uno pitafio sopra che in sustansia dica Jus Patronato facto per Annibale Gioia et suoi posteri habiano la eleccione in perpetuo (ASBr., Stefano Matera, a.1607, C.63.INV.III.3.1.II.6).

L’Annibale Gioia di cui sopra era il procuratore di don Ferdinando Sanseverino, barone di Ceglie e conte della Saponara (ASBr., Notaio Cornelio Vacca, 31.12.1583, C.184.INV.III.B.3.1.I.14).

Quel beneficio con jus patronatus della famiglia nobile, o comunque economicamente agiata, era trasmissibile agli eredi e per questo sopravvissuta fino all'ultimo rappresentante, quando, con la morte di questi, passava alla consorte o ad altre famiglie con cui era apparentato, se non a decretarne, con il placet dell'Autorità ecclesiastica, la soppressione del beneficio e la vendita dei cospicui beni ad esso attribuiti per volontà del fondatore o di suoi congiunti.

Alcuni storici locali affermano che la Cappella funeraria degli….. utili signori e padroni di Ceglie….., fosse ubicata nell’abbattuta Chiesa dei Padri Cappuccini. Se ciò fosse vero dovrebbe trattarsi unicamente della Cappella della famiglia dei Sisto y Britto, ma non certamente delle altre Casate feudatarie. E’ mai possibile che nessuno fornisce una valida documentazione al tal proposito?

Abbiamo affermato che la parte sotterranea della nostra Chiesa Madre era adibita, fin dall’antichità, a sepolcro della popolazione cegliese. Il Tempio di Sant’Antonio Abate e quello dell’Annunziata non erano attrezzate alla necessità, né tanto meno quello di Ognissanti o di San Martino, ma più che chiese vere e proprie queste ultime erano delle Cappelle sufficientemente idonee solo per la celebrazione del Sacro Rito. Non esistevano, all’epoca, all’interno della cinta muraria, altre chiese attrezzate alla bisogna. L’Abbazia di Sant’Anna, extra moenia, era molto lontana dall’allora Borgo medioevale, nonostante tutto si continuò a tumulare fino al 1884 quando le tombe furono “suggellate” (Augusto Conte, Toghe cegliesi, Ceglie Messapica 1997, p.51), la Chiesa dei frati Cappuccini venne quasi un secolo dopo, mentre San Domenico sarà disponibile nell’avanzata seconda metà del XVII secolo (1688).

Per quanto sopra in questa nostra Chiesa Madre fu sepolto, nell’ottobre del 1602, Fabrizio Sanseverino. Il fratello Lucio, a quel tempo, vescovo di Rossano (Calabro), fece costruire…. dentro la Chiesa Maggiore una Cappella dedicata alla Santissima Concezione (ASBr. Notaio Stefano Matera, a.1602). L’unica Chiesa Maggiore, all’epoca, era questa. Mi confortano, tra l’altro, V. Albanese, in Di Ceglie sua origine e successi, cap. II, folio373/v;  D.T.Albanese (1620-1685), in Historia delle antichità di Oria, città della provincia di Terra d’Otranto raccolta da molti antichi e moderni geografi ed historici; C. F. Palmisano, in Mala Cuncta…….Vos Spernam; Rocco Antelmy, in Ceglie Messapico, Accenni alla sua antichità, i quali tutti concordano che il nostro Fabrizio fu sepolto nella Chiesa Maggiore.

Voglio azzardare che in questa Chiesa fu tumulata, nel 1641, anche la duchessina Isabella Noirot, giovane moglie del Duca don Diego Lubrano. Nella sagrestia della chiesa di San Domenico, è vero, c’è un sacello dove si dice sepolta la giovane moglie di don Diego.

Mi preme rammentare, a tal proposito, che il Duca don Diego, nel 1630, aveva fatto costruire nel Chiesa Madre, a sue spese, una Cappella dedicata a Sant’Antonio da Padova, Patrono della Città [Notizia ricavata dalla Relazione della Visita Pastorale fatta da Mons. Parisi, nel 1644 (don Gianfranco Gallone, La Chiesa e la devozione di San Rocco a Ceglie prima del ‘900, in E’ ancora l’alba, a c. di E. Turrisi, Oria 1999, p.53, nota 10], riservandosi lo Jus Patronatus, ossia il diritto di farsi ivi seppellire. Perché  undici anni dopo permette che la giovane consorte venga sepolta altrove?

Quella Cappella è tuttora esistente nella nostra chiesa, e ancora ai nostri giorni, è dedicata a Sant’Antonio. Trattasi del secondo altare nella navata di sinistra.  E’ da ritenere quindi che all’atto dell’abbattimento della vecchia chiesa per far posto al nuovo Edificio l’intero altare fu, dapprima, smontato e poi assemblato, pezzo su pezzo, con certosina pazienza, nella nuova chiesa. Altrettanto dicasi per la Cappella fatta erigere dal vescovo, poi cardinale, Lucio Sanseverino, nel mese di ottobre del 1602, alla morte del fratello Fabrizio. Quell’altare, dedicato all’Immacolata Concezione, è situato nella navata destra dell’odierna chiesa ed è la seconda dall’ingresso. L’immagine…….della Concezione della Beata Vergine Maria,…….nel vecchio Tempio,….era dipinta sul muro, la quale per la vetustà è molto consunta….(Notizia tratta dalla Relazione della Visita Pastorale di Mons. Borghese effettuata nell’ottobre del 1595 e anche a quel tempo l’altare in argomento si trovava sul lato destro del Sacro Edificio). Posso affermare ora, con certezza, che dietro questa Cappella riposa nella pace eterna il Fabrizio Sanseverino, nato a Ceglie il 24 settembre 1565 e da…Dominus Federicus Marinarius de Terra Criptaliarum (Grottaglie) baptizavit...  (Archivio Chiesa Madre, Liber Baptisterii, aa.1565-1603, folio132). La parete esterna dell’edificio in corrispondenza di quest’altare nella Via Maddalena risulta intonacata. Altri altari della preesistente chiesa sono l’ultimo dall’ingresso nella navata di sinistra e quello dedicato al SS. Crocifisso, nelle immediate vicinanze della sagrestia, fatto costruire, a spese della municipalità, nel 1622, per un miracolo avvenuto, “…primo visitavit et diligentes magnam Crucem que est in medio Ecc. cum imaginem SS. Crucifixi super magna trabi quam laudavit……” (La notizia la ritroviamo nella Visita Pastorale di Mons. Ridolfi nel 1627). Le quattro Cappelle citate portano, ben visibili, i segni. Un bravo a quelle maestranze che con grande perizia effettuarono il lavoro con millimetrica precisione, tanto da sfuggire, per ben due secoli, agli occhi dei visitatori e degli studiosi più smaliziati. Alla luce di quanto sopra potrebbero esserci altri altari del preesistente Sacro Edificio, per esempio, quello dedicato a San Giuseppe.

 La Chiesa Madre fu elevata al rango di Insigne Collegiata, nel 1605, da Mons. Fornari, vescovo di Oria (cfr. G.Magno.P.Magno, cit. Fasano 1982, p.65). Il notaio Stefano Matera riporta testualmente in un suo atto datato 1 genaro 1606 ….in Dei Domine Amen. Per lo presente atto di pubblicazione…..del rev. Don Paladino Nisi, Arciprete della Collegiata Chiesa della Assunzione di questa Terra di Ceglie del Galdo…, e in un altro atto notarile datato 9 aprile 1609 Collegiata Chiesa dell’Assunzione di Ceglie (ASBr., Stefano Matera, C.32.INV.III.B.3.1.II.6).

Mercoledì 20 febbraio 1743, alle ore 23.45 (ASBr., Notaio G. M. Bonavoglia, prot.42, CC.39-40; Notaio A. Carrasco, a. 1745, prot.16, CC.12/v-13/r; E. De Simone, Vicende Sismiche Salentine, Lecce 1993, p.73; Cattedrale di Brindisi targa posta sulla facciata anteriore a destra dell’ingresso), ultimo giorno di carnevale – riportano le cronache del tempo – una disastrosa scossa tellurica, del 5°-6° della scala Mercalli, colpì il Salento con epicentro il Canale d’Otranto provocando, tra l’altro, non pochi danni. Le città più colpite dal sisma, con gravi danni a cose e persone, di cui si hanno notizie, furono Brindisi, Lecce, Francavilla, Nardò, Oria, Mesagne, Manduria. Ma anche Ceglie non fu da meno, per niente risparmiata dal disastroso evento. Non ho notizie di vittime fra la popolazione, potrebbero però essercene state.

Manifestazioni di penitenza e di ringraziamento per lo scampato pericolo si svolsero in tutti i centri coinvolti dal sisma, ma l’emergenza sarebbe continuata nei mesi successivi. Mentre tutti erano intenti a riparare i danni cagionati dal terremoto del 20 febbraio, altre due scosse, sempre del 5°-6° della scala Mercalli, si fecero sentire nel mese di ottobre: l’una alle ore 09.00 del giorno 11 e l’altra alle ore 08.55 del 31 (F.Ascoli, La Storia di Brindisi, Fasano 1976, p.350).

La tradizione vuole che – scrive l’Ascoli -  nella occasione di quel terremoto, mentre il popolo rifugiatosi nella Chiesa di San Paolo impetrava grazia dal Signore, la statua della Madonna dell’Assunta aprisse le mani in atto di dire al popolo: Rassicurati, ch’è l’ira divina è stata placata. Fino a pochi anni addietro solennizzavasi il giorno 20 febbraio con una pubblica processione, portandosi in giro per la città questa Madonna, ch’esiste ancora oggi nella chiesa di San Paolo. Le pareti della chiesa, già lesionate con la scossa del mese di febbraio, potrebbero averne risentito. Sta di fatto che l’ospedale di Ceglie, per esempio, fu seriamente danneggiato tanto che nel mese di dicembre dello stesso anno fu necessaria la sua riedificazione e ristrutturazione (ASBr., T. Lamarina, a.1743,C.298 /T.INV.III.B.3.1.X 2).

Fu pertanto decisa la costruzione di una nuova Basilica con il contributo volontario di tutti i cittadini di ogni ceto sociale. Il canonico don Michele Caliandro, per esempio, nel suo testamento lasciò ducati 50 a beneficio della nuova fabrica della Chiesa Matrice di Ceglie (ASBr., Notaio M.Gioia, a.1782, C.49 /53/T.INV.III.3/1 XII.5); il Magnifico Cataldo Antelmi lasciò 300 ducati per la costruzione della nuova Chiesa Matrice (ASBr., Not. M. Gioia, Anno 1783, C.324.INV.III.B.3.1.XII. 16).

 Le esigenze della popolazione intanto erano cresciute, quindi, anche la chiesa fu progettata e costruita più grande e più bella, così come noi la vediamo oggi.

Credo che per i motivi di cui sopra il 5 febbraio 1781, XV Indizione, in Terra Cilij Hjdruntae Provinciae, fu firmata una cosiddetta convenzione per il restauro, ampliamento e riattamento della Chiesa Matrice…. tra li signori deputati dell’universali Matrice Chiesa di questa terra, il signor duca don Annibale Sisto, il signor tesoriere don Giambattista Calciuri, il signor canonico don Oronzio Ciciriello, il signor canonico don Rocco Agostiniello, il reverendo mastro di studii fra Vincenzo Lamarina, il Magnifico don Francescantonio Lupoli, e mastro Andrea Cavallo da una parte; e li mastri Salvatore e Francesco Paolo Trinchera padre e figlio della Città di Ostuni (ASBr., Fondo Notarile di Ceglie Messapica, Notar C. Agostiniello, a.1781, INV. 1680).

Per fare spazio alla costruzione del nuovo Tempio, progettato dall’Arch. Don Giambattista Broggia della Città di Napoli, ed eseguita da Mastro Salvatore e Francesco Paolo Trinchera, padre e figlio di Ostuni, ma al presente in questa suddetta terra di Ceglie, ossia domiciliati temporaneamente a Ceglie, fu abbattuto - scrive il cronista domenicano -…un orologgio (a meridiana fatto costruire, intorno al 1568, da Giovanni Giacomo Sanseverino, V conte della Saponara), …..posto a ponente, nell’orto di proprietà della stessa Chiesa Madrice e l’Arco della Madonna della Grazia, posto a leuante…. (ASBr., Platea di San Domenico, a. 1744, p.185). L’Arco della Madonna della Grazia quindi si trovava alle spalle dell’attuale edificio, mentre l’orologio a meridiana doveva trovarsi, all’incirca, dove ora insiste la facciata principale della chiesa, ossia proprio di fronte all’ingresso del castello.

Altra convenzione, e determinazione fatta tra li signori deputati della fabrica della Madrice Chiesa di questa terra di Ceglie, e mastro Salvatore Trinchera della città di Ostuni fu firmata il 23 maggio 1789, 7^ indizione, in cui compare, fra i costruttori, anche Mastro Carmine Pascale della città di Ostuni  (ASBr., Fondo notarile di Ceglie Messapica, Notar Agostiniello Cataldo, a. 1789, C.219-224, inv. 1687), il quale era il suocero dell’ing. Francesco Paolo Trinchera.

Il 5 gennaio 1790, fu espressa Soddisfazione, e quietanza di ciocche devono ricevere mastro Salvatore Trinchera, il signor dottor don Giuseppe Ayroldi, curatore per li pupilli del fu magnifico ingegnere Francesco Trinchera, e mastro Carmine de Pascale della città d’Ostuni, dalli signori deputati della Madrice Chiesa di questa Terra di Ceglie (ASBr., Fondo Notarile di Ceglie Messapica, Notar Agostiniello Cataldo, a.1790, c.4/v-10- Inv.1688).  Nel documento di cui sopra è inserito un decreto della Corte Ducale di Ostuni  a firma del Governatore e Giudice di quella città Giuseppe Capece.

Trattasi di una richiesta avanzata dalla …..Magnifica Rosalia Pascale, vedova del quondam Francesco Paolo Trinchera, Reggio Ingegnere…. Madre e Tutrice dell’unico Pupillo Salvatore Trinchera procreato in costanza di Matrimonio col medesimo……..essendo già compito l’opera della Chiesa di Ceglie partitata da esso defonto suo Marito ove gli accadde il fatale funestissimo avvenimento colla perdita della vita….la quale chiedeva alla Corte ducale la nomina di un Curatore…. abile, probo ed Idoneo……

 Il 15 giugno 1789 era stato nominato Curatore il Magnifico V.I. Dottor Don Giuseppe Ayroldi di Ostuni  (Terre Celiarum del Galdo Hydruntini Provincia, Oria 1997, Parte IV, p.62-63).

Alla luce di quanto sopra dobbiamo ritenere, pertanto, che l’odierna chiesa non fu ricostruita ex novo fin dalle fondamenta come si è sempre pensato, ma fu restaurata, riattata ed ampliata alle esigenze della accresciuta popolazione, quella fatta costruire dai coniugi Aurelia e Giovanni Sanseverino tra il 1521 e il 1525. Tra l’altro, come già citato, anche alcuni altari laterali sono gli stessi di quel vecchio Sacro Edificio.

Le colonne poste ai lati del pozzo nel cortile del castello sono di fattura più antica e di materiale, decisamente, diverso da quello del castello. Quelle colonne potrebbero appartenere al portico della chiesa preesistente. L’attuale facciata della Chiesa Madre ha, per esempio, la parte litica più bassa costituita da materiale diverso da quello dell’intero Tempio. Il motivo potrebbe essere che le pietre utilizzate per la costruzione della facciata provenissero da due diverse cave di cui una non in territorio cegliese o, meglio ancora, forse l’ipotesi più credibile, potrebbero essere quelle della vecchia chiesa abbattuta. Sono solo delle congetture, tra l’altro, non suffragate da alcuna documentazione.

La Chiesa è un edificio a croce greca con cupola che custodisce alcuni dipinti di Domenico Carella tra cui una Cena biblica con veduta prospettica di Ceglie fine ‘700, l’Ultima Cena, l’Assunta, la Madonna della Grazia con Bambino tra i Santi genuflessi Vincenzo di Paola e Filippo Neri (I. Conte, Le tele di Domenico Carella nella Collegiata di Ceglie Messapica, Manduria 1997).

Di pregevole fattura è il “Cristo uscente dal sepolcro” di pietra policroma, attribuito a Raimondo da Francavilla, incastonato in una parete della sacrestia, al quale fa riscontro il “Crocifisso” ligneo in cui la figura di Cristo – scarno e quasi consunto – fa ammutolire per l’austera severità (cfr. Isidoro Conte–G.Scatigna Minghetti, Ceglie Messapico, arte, ambiente, monumenti, Ceglie Messapica 1997, p.28).

Affiancato il campanile tozzo e massiccio con le sue campane, il cui rintocco è ascoltato in tutta il Borgo medioevale, e non solo.

Nella chiesa è custodito il simulacro di Sant’Antonio da Padova, Patrono della città, cui si affianca una tela del taumaturgo patavino firmata da Pacecco de Rosa.

 L’Amministrazione comunale cegliese in data 14 marzo 1823 indirizzava al vescovo di Oria una supplica (richiesta) nella quale chiedeva il permesso di festeggiare Sant’Antonio da Padova il giorno della sua ricorrenza (13 giugno) e non la domenica successiva come era stato fatto fino a quel momento (ASBr. Conclusioni decurionali – Inventario a. 1823, b.9, fasc.3). L’autorizzazione evidentemente fu concessa, infatti, la ricorrenza ormai si festeggia il 13 giugno.

Il Tempio fu consacrato, nel 1789, dal vescovo di Oria, Alessandro Maria Kalefati, il quale diresse quella Cattedra dal 1789 al 1794, durante il regno di Ferdinando IV di Borbone (con l’unificazione del regno di Napoli e del regno di Sicilia, nel 1806, Ferdinando IV assunse il nome di Ferdinando I, re delle due Sicilie).

Nel 1893, fu rifatta la pavimentazione così come è oggi, a cura e spese del Comune. Il Sottoprefetto di Brindisi (Ceglie allora era in provincia di Lecce), nel trasmettere la delibera al Prefetto di Lecce per la definitiva approvazione segnalava la “grave irregolarità commessa da quel Municipio coll’aver deliberato di concorrere a tale spesa dopo che l’opera era stata eseguita”. La Giunta Provinciale Amministrativa (ora CO.RE.CO), nella seduta del 25 maggio 1893, approvava “…..il fatto compiuto” (ASLe., Atti Provincia, b.223, fasc.1209, aa.1855-1915).

A titolo di cronaca Ceglie aveva, nei secoli passati, all’interno delle mura oltre a quelle già menzionate anche la chiesa di Ognissanti, di San Martino, poi, di San Demetrio, di San Giovanni Evangelista dello Spedale ossia San Domenico, fuori le mura, invece, l’Abbazia di Sant’Anna, San Nicola, San Sebastiano (Scuole Pie), San Giovanni, San Rocco, San Michele, le Croci, Madonna della Grotta, Santa Maria degli Angioli ossia la chiesa dei Cappuccini.

Il Real Dispaccio 8 ottobre 1785, invitava le Chiese Collegiate sprovviste di regio assenso, a predisporre entro due mesi i loro Statuti. Gli arcipreti avrebbero dovuto spedire copia degli Statuti al Cappellano Maggiore in Napoli per ricevere l'assenso della Real Camera di Santa Chiara. Non conosciamo, almeno lo scrivente non è a conoscenza, se l'Arciprete cegliese del momento abbia poi redatto lo Statuto.

Il Capitolo era costituito da un numero prefissato di unità (Arciprete, Canonici, ecc.). Altre figure rappresentative del Capitolo erano oltre all'Arciprete, il Decano, che sostituiva l'Arciprete in caso di assenza o di morte, l'Economo o Vicario foraneo, che curava gli affari minuti della chiesa e il Maestro di Cerimonie, che dirigeva e regolava le sacre funzioni.

L'Arciprete doveva essere, necessariamente, dottore dell'una e l'altra legge (utriusque juris), e solo a lui competeva istituire pubbliche processioni o altro, a suo arbitrio. Inoltre era riservato a lui la celebrazione dei battesimi e dei matrimoni, i cui proventi costituivano i diritti della stola.

            Una delle principali fonti di introito per la Insigne Collegiata era costituita dalle Decime Sacramentali.

            La chiesa, oltre ai servigi religiosi da rendere alla popolazione, era obbligata alla tenuta del Registro della popolazione o Stato delle anime.

            Con l'avvento dei francesi nel regno di Napoli, le Decime vennero abolite e sostituite dalla Congrua.  Questa veniva pagata dai Comuni.

            Tale decisione venne confermata poi dalla legge 13 febbraio 1812. Lo Stato delle anime passò di competenza dei Municipi che istituirono i Registri dello Stato Civile.

            A seguito del Decreto Luogotenenziale 17 febbraio 1861 furono soppresse, nelle province napoletane e siciliane, insieme agli Ordini monastici, anche i Capitoli delle Chiese Collegiate, non aventi cure d'anime.

            Con la successiva legge 7 luglio 1866, furono soppresse tutte le Chiese Collegiate (con o senza cure d'anime) e con legge 15 agosto 1867 anche le Chiese ricettizie. Da quella data le Chiese Collegiate rimasero delle semplici PARROCCHIE.

            Quando con la precitata legge i beni furono incamerati dallo Stato, essi furono poi venduti all’asta a privati. In tal modo, arredi sacri in metallo prezioso, appezzamenti di terreno, case, libri, dipinti, vere e proprie opere d’arte fecero la fortuna di agiati cittadini.

            In questa chiesa, come nelle altre, furono istituite delle Confraternite. Queste erano delle associazioni di laici che fiancheggiavano l'opera della Chiesa e sovente furono da essa utilizzate per arginare le irruzioni eretiche. Le Confraternite hanno rappresentato, attraverso i secoli, il mezzo tradizionale di attivazione del fervore religioso e della pratica cristiana dei laici.

(Aggiornato mercoledì 14 gennaio 2004)

 

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