Quando
è stata fondata Ceglie Messapica?
di Pasquale Elia
La documentazione archeologica relativa
a Ceglie in età classica ed ellenistica (V-III secolo a.C.) è quanto
mai numerosa…..(Assunta
Cocchiaro, L’Età classica ed
ellenistica, in Messapica Ceglie, Ceglie Messapica 1998, p. 27).
Delle necropoli di Ceglie, scoperte dalla fine del XIX secolo, resta una
documentazione scarna che ci consente, tuttavia, di inquadrare
l’utilizzo delle aree di sepolture tra la seconda metà del V secolo e
il III secolo a.C. (Assunta Cocchiaro, ..cit. p.30).
Altra antica testimonianza è la cerchia muraria che circondava
il centro abitato, meglio conosciuto quale Paretone
(Edward Allen, Pietre di
Puglia – dolmen, trulli e insediamenti rupestri, Bari 1984, p.38;
Trump, Italy bifore Rome, p.152-153), che risalirebbe al VI-V secolo a.C.
Se ne contano ben quattro e la più grande misurava un perimetro di
circa 5 Km. (S.Jurleo, Ostuni,
città messapica, Preistoria e Storia, Fasano 1993, p.141-142; A.
Ambrosi, Parieti, specchie e
parietoni, Riflessioni, Umanesimo della pietra, Martina Franca 1985,
p.81-90; A.Ambrosi – E.Decano – C.A. Zaccaria, Architettura
in pietra a secco – Atti 1° Seminario internazionale, Fasano
1985, p.32-33). E cosa dire poi delle cosiddette specchie?
….tumuli di pietra dalla forma
di trulli. Sono da considerarsi, senz’altro, ostacoli all’avanzata
nemica oltre che torri per segnalarne il pericolo (Lino Patruno, Puglia e Basilicata - Mura,
Castelli e dimore. Verona 1996, cap. Ceglie Messapica, p.28, 67). Ceglie,
per la sua posizione geografica, quando era abitata dalle popolazioni
messapiche era un centro di notevole importanza strategico-militare e
viene ricordata da Plinio, Strabone e Catone. La
nazione messapica era un'etnia civilissima, una popolazione che
conosceva la scrittura, uno stato che aveva un avanzato sistema
politico, una cittadinanza che possedeva una sua religione e, per di più,
si ha notizia di messapi e peuceti discepoli di Pitagora [Le fonti pitagoriche del IV secolo citano discepoli messapi e peuceti
(cfr. AA.VV. Storia del
Mezzogiorno, p.252)]. I
Messapi erano dei valorosi guerrieri e famosi allevatori di cavalli. Le
attività di rilievo risultano essere la pastorizia e l’agricoltura.
Il commercio molto sviluppato si svolgeva con i vicini insediamenti, ma
soprattutto con la Grecia.
Secondo i più accreditati studiosi le genti messapiche
provenivano dall’Illiria (odierna Albania – Montenegro – Slovenia
- Isole Dalmate) che nel V-IV secolo a.C. attraversarono l’Adriatico e
stanziarono sulle coste pugliesi. E’ ancora all’ordine del giorno il
flusso migratorio (ora diciamo clandestino) proveniente proprio da
quelle località. La miseria, le guerre, la fame forse, deve aver
spinto quella gran massa popolare ad allontanarsi da quelle
remote terre in cerca di un'esistenza migliore. Altri affermano invece
che quel popolo provenisse dall’attuale Slovenia. La
parola Ceglie (Celia per Tolomeo – lo riferisce Leandro nella Descrizione di tutta l’Italia), ìinfatti, deriverebbe proprio da Celeia
sloveno “Celija”, o dallo slavo “Kelija” (G.Semerano, Le
Origini della Cultura Europea, Firenze 1984), anche per Strabone
Kelia. Per
maggiori notizie su Ceglie, consultare il sito www.ideanews.it/antologia.
In
ogni caso tutti sono concordi nel ritenere che i Messapi provenissero
dai territori del versante adriatico della penisola balcanica.
Quella popolazione ha combattuto duramente contro la città di
Taranto per conservare l’indipendenza, con alterne vicende. Nel 267
a.C., purtroppo, l’esercito della confederazione messapica (Ceglie-Oria-Manduria
ed altre), fu sconfitto da quello romano. Ceglie fu pertanto saccheggiata,
distrutta e assoggettata a Roma. Molti suoi abitanti trasferirono la
loro residenza nella Capitale dove si integrarono nell’organizzazione
sociale romana, ma tanti altri ricostruirono dalle ceneri la loro, la
nostra Ceglie.
Forse non tutti sono a conoscenza che nel Borgo Antico, c’era
una chiesetta dedicata a Sant’Antonio Abate (negli atti notarili viene
indicato come Sant’Antonio di Vienna), ora complesso di ristorazione
(Osteria dei Santi) che secondo alcuni studiosi del settore potrebbe
risalire addirittura al periodo dell’editto di Costantino (Milano 313
d.C.). In quel locale, infatti, sull’architrave della porta
d’ingresso sono stampigliate le lettere I.H.S.V. (In Hoc Signo Vinces)
tradotte in italiano: “Con questo segno vincerai”. Sulla stessa
architrave è riprodotta in altorilievo una croce greca, segno che la
costruzione sarebbe da collocare ad un’epoca più antica a quella cui
si crede.
Invito i lettori a visitare quel locale per ammirare gli
affreschi che ancora adornano le pareti e che nonostante tutto sono in
buono stato di conservazione.
Oltre a quella Cappella in città esistevano anche altre chiese e
tra queste la più nota chiesa Madre. Per chiesa Madre si intende
quella che generò altre chiese, ossia luogo in cui non era prima
stato occupato da altra chiesa (A.B.Bergier, Dizionario
Enciclopedico della Teologia, della Storia della Chiesa, degli Autori
che ha scritto intorno alla Religione, dei Concili,Eresie, Ordini
Religiosi, ecc. Tradotto in italiano da Padre D.Clemente Biagi,
Venezia 1827, Ediz. Originale 1724, Tomo I, p.195 – Biblioteca
Capitolare Duomo di Monza). Per quanto sopra detto se la Cappella di
Sant’Antonio Abate la collochiamo intorno al IV secolo d.C., anche la
nostra chiesa Madre dobbiamo posizionarla intorno al quel periodo, ed in
ogni modo la prima sul territorio.
Sappiamo che il piccolo insediamento cegliese continuò
regolarmente la sua vita e la conferma ci viene fornita dalla nascita
nella nostra città di un certo Giuliano (385-450/4), il quale eletto
vescovo ricoprì la cattedra episcopale di Eclano, città scomparsa,
corrispondente alla odierna Mirabella Eclano in provincia di Avellino.
Egli divenne strenuo assertore delle teorie eretiche di Pelagio. Per
questi motivi fu deposto dalla cattedra episcopale, condannato e
cacciato in esilio dall’Italia. Si rifugiò in Oriente presso amici
vescovi della scuola di Antiochia. Ebbe una fitta corrispondenza con
Sant’Agostino, (tra l’altro amico del padre Memore, anch’egli
vescovo), in difesa delle sue teorie (www.
ideanews.it/antologia). Un
cronista del tempo annotava : “Il
vescovo Agostino, in tutto eccellentissimo, muore il 28 agosto, mentre,
fin negli ultimi giorni della sua vita e sotto gli attacchi dei vandali
assedianti, sta rispondendo ai libri di GIULIANO, continuando così a
difendere gloriosamente la grazia di Cristo” (P.Lolli, Allo
specchio della Trinità, L’Icona di A. Rublèv, in Dalle Api alle
Rose, Agosto-Settembre 1990, p. 3 - Mensile del Monastero Agostiniano
“Santa Rita da Cascia” - Cascia).
Alcuni storici riportano che l’Imperatore bizantino Costantino
o Costante II (641-658), sbarcato a Taranto, nella marcia di
avvicinamento a Lucera, avrebbe saccheggiato e distrutto, nell’ordine,
Oria, Ceglie, Conversano, Monopoli, Bari, Ordona, Salpi, Arpi,
Montesangelo, Vieste, Aecae (Pasquale Corsi, Il periodo Longobardo in AA.VV. Cronotassi
Iconografia e Araldica dell’Episcopato Pugliese, Editrice Regione
Puglia, Bari 1984, p. 25; P. Corsi, La
conquista longobarda, in Dalla
Caduta dell’Impero d’Occidente al dominio Longobardo (a cura di)
F. Tateo, in Storia di Bari dalla
preistoria al Mille, Bari 1989, p.265; P. Corsi, La
spedizione italiana di Costante II, Bologna 1983). In
una variante lo stesso autore -
docente di storia bizantina nella facoltà di Lettere e Filosofia
dell’università di Bari - afferma anche che il saccheggio e la
conseguente distruzione delle città di cui sopra potrebbe essere
avvenuta durante il viaggio di ritorno, ossia in occasione del
trasferimento a Siracusa, città dove l’Imperatore Costante morì. Da
Taranto, la via di comunicazione più idonea al passaggio di truppe, per
quel tempo, passava quindi per Oria (la via Appia originale, infatti, da
Taranto transitava da Oria e Mesagne per Brindisi), Ceglie, che
collegava il porto di Egnatia, Conversano, Monopoli, etc. Infatti, …Gli
studi condotti sulla viabilità preromana della Messapia hanno
evidenziato un collegamento di Ceglie con Egnazia a Nord ed Oria a
Sud… (A.Cocchiaro, Messapica Ceglie, Ceglie Messapica 1998, p.29).
La costruzione del castello, in posizione strategica sul
cocuzzolo più alto della collina, a mio parere, dovremmo collocarla al
periodo (1070-1100) di quel (Sire)
signore normanno di nome Pagano. Non
abbiamo alcuna testimonianza, ma dallo stile maestoso della sua torre
quadrata e dalle sue notevoli dimensioni, alta circa 35 metri, possiamo
e dobbiamo congetturare che sia proprio di origine vichinga, poi nei
secoli seguenti ha avuto ristrutturazioni, rimaneggiamenti e
fortificazioni idonee alle esigenze del momento. Trattasi di un
complesso comunque unico nel suo genere. Fin dall’antichità la torre
è stata il simbolo della città, infatti, lo stemma araldico antico
(1100-1800) di Ceglie è “un
castello aperto con sopra tre torri aperte”; con
l’abolizione della feudalità comparve altro stemma “torre aperta
con sopra tre merli e su quello centrale un’aquila imperiale a volo
spiegato con testa rivolta a sinistra” . Il 6 marzo 1953,
infine, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri fu
assegnato l’attuale blasone : “torre
aperta con sopra tre merli” che tra l’altro risultano anche
errati. Sono del tipo ghibellino, dovevano
essere invece del tipo guelfo. Guardando ad occhio nudo i merli della
nostra torre sono proprio del tipo guelfo (merli a profilo superiore
rettilineo). Altra aquila, ma questa volta bicipite la troviamo
riprodotta in altorilievo sul pulpito basso nella Chiesa di San Domenico
(si rimanda il lettore al sito internet www.ideanews.it/antologia). Un
antico documento custodito presso l’Archivio di Stato di Brindisi
datato anno del Signore 1100, il padrone del castello di Ceglie, certo
Pagano, si lamenta con il padrone di Ostuni, certo Accardo. La lamentela
riguardava l’invasione, da parte degli ostunesi, delle terre di
confine per pascolo. Il padrone
della città di Ostuni e di Lecce (così si definiva), dopo aver
accertato che, in effetti, i suoi uomini, spesso e volentieri,
sconfinavano in territorio cegliese stabilì che coloro i quali, in
futuro, avessero invaso le terre altrui sarebbero stati condannati a
pagare un’ammenda di duecento michelati buoni e
sonanti. Il michelato era una moneta bizantina, a corso legale
(?), fatta coniare dagli Imperatori d’Oriente di nome Michele. Il
documento in argomento, tradotto per la cortesia del prof. Damiano
Mevoli, docente di Storia e Letteratura latina presso l’università
degli Studi di Lecce, non è un originale, trattasi invece di una copia,
ma nonostante ciò deve essere considerato di rilevante importanza
storica per la nostra città. Esso infatti è l’unico atto, fin qui
conosciuto, riferito all’epoca, in cui, oltre ai nomi dei personaggi
ci fa conoscere la toponomastica del territorio cegliese. I confini
descritti (contrade, muri a secco, recinti per gli animali, etc.)
conservano ancora oggi gli stessi nomi. A
quest’epoca dovrebbe risalire la cessione di Ceglie alla curia
brindisina. E’ noto che i normanni all’atto della loro conversione
al cristianesimo cedevano parte delle terre possedute alla Chiesa.
Nessun documento che avvalori purtroppo questa mia ipotesi. Il
4 gennaio 1182, il Papa Lucio III, con sua Bolla Pontificia, concede in
favore di Pietro da Guinardo, Arcivescovo di Brindisi, ….l’uso
del Pallio alla Villa di Ceglie e non alla Abbazia di Sant’Anna….
[R.Jurlaro (a cura di) Catalogo
dall’anno 1033 al 1957, Bari 2 nov. 1958, perg. n°V; Annibale De
Leo, Codice Diplomatico Brindisino,
p.40, n°21; Enciclopedia dell’Ecclesiastico, Tomo IV, Napoli
1845, p.886). Per la cronaca, Pietro da Guinardo, nato a Bisignano,
occupò la Cattedra brindisina dal 2 gennaio 1183 al 1196 (AA.VV. Cronotassi,
Iconografia…. cit. p.139). Nel
1266 nei pressi di Benevento si svolse la battaglia tra il Re Manfredi e
Carlo I d’Angiò. In questo scontro, accanto al Manfredi, morì in
combattimento Tommaso Gentile, signore di Parabita. Gli successe il
fratello Simone, ma avendo questi parteggiato per Corradino di
Hohenstaufen, fu privato di tutti i possedimenti e, nel 1269, venne
decapitato nella pubblica piazza di Nardò. Il feudo di Parabita fu
quindi assegnato a Giovanni de
Celio (L.A. Montefusco, Le
successioni feudali in Terra d’Otranto, La provincia di Lecce, Vol.
I, Novoli 1994, p.347). Nel 1279, il nostro Giovanni
de Celio è infeudato anche signore di Motonato, in provincia di
Taranto (L.A. Montefusco, Le
successioni feudali in Terra d’Otranto, Le province di Brindisi e
Taranto, vol. II, Novoli 1996, p.161). Caduta
la dinastia normanna sotto i colpi svevi, il possedimento di Ceglie de
Gualdo fu concesso a Gervasio De Persona, meglio conosciuto come de
Matina, dalla signoria principale di questa famiglia: Matino in
provincia di Lecce. Succedette il figlio Glicerio. I de Matino, padre e
figlio, nativi di Mottola erano legati alla Casa Sveva.
In
occasione della discesa di Corradino in Italia, parteggiarono per questi
contro Carlo I d’Angiò. Gervasio
(padre), fu dichiarato traditore e rinchiuso in carcere insieme alla
moglie Pellegrina, quindi condannato all’impiccagione. E’ ricordato
nella “Cedula taxationis
Justitiaratus Terre Ydronti” del 1276 [ N. Barone, La
Cedola per l’imposta ordinata da Re Carlo I d’Angiò nel 1276. Soc.
Filomatica, Napoli 1926, p. 136; E. Cuozzo (a cura di), Fonti per la
Storia d’Italia, Catalogus
Baronum, Commentario, Istituto Storico Italiano per il Medioevo,
Roma 1984, p.54, n°204). Glicerio,
aveva ricevuto da Carlo I una forte somma di denaro ed una compagnia di
soldati per andare a Morea al servizio del Principe d’Acaja. Come già
detto anche Glicerio parteggiò per Corradino. Caduto l’ultimo degli
Svevi, Carlo I d’Angiò ordinò la sua cattura. Glicerio si era dato
alla latitanza nelle campagne di Otranto dove in seguito fu catturato e
condotto in carcere nel castello di Brindisi insieme ai figli, Gervasio,
Giovanni e Perello. Subì il patibolo (ASNa, Documento
Angioino, Reg. 1269, b.4, fg.39; Camillo Minieri Riccio, Documenti
di Carlo I d’Angiò; AA.VV. Dizionario
Biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto, Martina
Franca 1999, p.159). La moglie Riccarda con le figlie Sibilla, Smirilla,
Peregrina e Rogerella furono affidate al Sindaco di Brindisi. Non
conosciamo purtroppo la sorte di quelle povere donne. Carlo
I d’Angiò, il 28 gennaio 1258, concesse la nostra città, confiscata
ai de Matino, ad un suo parente Ezzelino de Tuzziaco (A. Foscarini, Armerista
e Notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie in Terra
d’Otranto, Sala Bolognese 1971, p.133). Quella famiglia tenne
Ceglie fino al 1273, quando morto l’ultimo dei de Tuzziaco senza
figli, i parenti più prossimi non vollero lasciare la Francia per
rilevare l’eredità. Per tale motivo le terre di Ceglie de Gualdo
furono cedute (1273) da Carlo II d’Angiò ad un certo Giovanni Pipino.
Un Giacomo Pipino, nativo di Brindisi, fu medico personale del re
angioino. Altro
o forse lo stesso Giovanni Pipino, conte di Minervino, nel 1358, fu
impiccato per tradimento ai merli del castello di Altamura (G. Galasso, Benedetto
Croce, Storia del Regno di Napoli, Azzate 1972, p. 105, p.869; idem,
Storia d’Italia, Il Regno di
Napoli, Il Mezzogiorno Angioino e Aragonese 1266-1494, Torino 1992,
vol.XV, Tomo I, p.875). Il
14 maggio 1361, secondo un documento notarile custodito presso la
Biblioteca “A. De Leo” di Brindisi, il possedimento di Ceglie
sarebbe stato venduto dall’Arcivescovo di Brindisi e Oria frate Pino (Giso)
a Francesco Sanseverino. Questi era terzogenito figlio di Guglielmo,
signore di Policastro, Sansa, Padula e Montesano, che, nel 1409, divenne
signore di Nardò (Davide Shamà, La
Genealogia dei Sanseverino, www.ideanews.it/antologia). Il
documento in questione, redatto su carta, non convince per vari motivi
che di seguito elenco. L’atto infatti, non riporta l’anno, ma solo
l’Indizione, non esplicita nel testo come di regola il nome del
notaio, non è impresso il sigillo notarile, né la firma
dell’estensore. Infine riporta il termine magnificus
che non ha riscontri nel ‘300, venne diffusamente usato invece
durante il periodo rinascimentale, mentre il documento vorrebbe essere
di tarda età angioina (1361). I personaggi però sono tutti di
quell’epoca. La testimonianza di cui sopra potrebbe essere un
documento redatto ad arte dalla Curia brindisina per accampare qualche
diritto sulla Contrada di Ceglie
(così viene indicata Ceglie nel documento) nei confronti della Curia
oritana al momento della loro separazione (1591). Analisi scientifiche
sul documento effettuate da chi di competenza eliminerebbe molte
perplessità. Oria
già sede episcopale fin dall’VIII-IX secolo. Nelle vicende di quel
tempo fu occupata dagli arcivescovi brindisini che trasferirono la loro
sede ed esercitarono la giurisdizione nei secoli seguenti. Fu istituita
sede episcopale il 10 maggio 1591 con una precisa circoscrizione
territoriale tuttora in vigore; suffraganea dell’arcivescovo di
Taranto (AA.VV. Cronotassi,
Iconografia, e Araldica dell’Episcopato Pugliese (a cura di) C.
Dell’Aquila, Bari 1984, p.256).
Ceglie con le sue terre, i suoi uomini, animali e cose è
appartenuta nel passato a molti feudatari, i quali hanno fatto le loro
ricchezze a spese della popolazione cegliese.
La
famiglia che più ha lasciato una impronta indelebile nella nostra città
fu la Casata dei Sanseverino. Essa arrivò nel 1484 con Sansone
Sanseverino e sua moglie Antonella Dentice, quindi da padre in figlio
governò Ceglie fino al 1612, quando alienò il feudo forse a causa
della morte per incidente di Fabrizio, avvenuta nel 1602. Poi
con i Lubrano, i Sisto y Britto e i Verusio, arriviamo ai nostri giorni. Alla
luce di quanto sopra esposto dobbiamo convenire che la nostra città ha
da 2400 a 2500 anni di età.
(Pubblicato il 02/06/2003)
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