Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

Il castello ducale di Ceglie Messapica

di Pasquale Elia 

            

        Il castello ha visto un susseguirsi di famiglie feudatarie dai (Sire) Pagano, ai Drimi, dai de’ Persona, meglio noti come de’ Matina, dal feudo Matino in provincia di Lecce, ai de’ Tuzziaco imparentati ai d’Angiò, dai Scisciò ai Brancaccio, ai Dentice di Saponara (ora Grumento Nova in provincia di Potenza), ai Sanseverino, a Cornelia Pignatelli di Marsico Nuovo, Lubrano, Sisto y Britto, Verusio, attuali proprietari.

            E’ da precisare che Cornelia Pignatelli era la moglie di Giovanni Giacomo, IV conte di Saponara e barone di Ceglie, il quale, a sua volta, era il padre del più famoso Fabrizio, nato, battezzato, morto e sepolto, a Ceglie, nella Chiesa Madre, sotto l’altare dedicato alla Immacolata Concezione (secondo dall’ingresso nella navata di destra), fatto appositamente costruire dal fratello Lucio, allora vescovo di Rossano, poi, Cardinale di Salerno.

Costei (Cornelia Pignatelli), il 12 ottobre 1584, acquista, dal figlio Ferdinando, la baronìa di Ceglie e la tiene fino alla sua morte avvenuta il 29 gennaio 1592. Il motivo di questo acquisto non è dato sapere, ma è ipotizzabile per motivi fiscali, non si spiegherebbe diversamente. Immagino che, anche, a quei tempi, si inventavano stratagemmi per  sfuggire al fisco, che tra l’altro, risulta che fosse molto esoso. Questo è il motivo per cui nel cortile sulla scalinata principale troneggia lo stemma araldico dei Pignatelli di Marsico Nuovo, altro ramo non meno importante dei Pignatelli di Napoli (i due blasoni sono riprodotti in ultima pagina).

            La precisazione di cui sopra è doverosa e necessaria, perché per uno storico cegliese, la Cornelia Pignatelli in argomento, diventa di sesso maschile (Cornelio) [Gaetano Scatigna Minghetti, Ceglie Messapica – Guida Turistica Gastronomica (a cura della Pro-Loco), p.5; idem, 45^ Coppa Messapica, Notizie Storiche, 15 agosto 2004].

            Il Centro del Borgo medioevale di Ceglie è il castello ducale che con la sua torre quadrata, imprigionata recentemente da cinture metalliche, domina imponente, superba, fiera e maestosa sulle pianure circostanti.

            La fortezza, dalle pareti grigie corrose dalle intemperie e costellate da ciuffi di fichi e da cespi di parietarie, di cui alla data odierna non abbiamo alcuna notizia certa di quando sia stata costruita, né tanto meno chi l’abbia progettata e fatta erigere, sappiamo solo, che nell’anno del Signore 1100 era abitata  dal suo “padrone” di nome PAGANO.

            Se volessimo proprio azzardare qualche ipotesi sulla data della costruzione del maniero dovremmo concludere che esso fu realizzato tra il 1050, conquista del Salento da parte delle truppe vichinghe e il 1100, abitato già da (Sire) Pagano, ma potrebbe essere anche di datazione più antica (Longobarda o bizantina, per esempio).

            Alcuni studiosi locali affermano che la torre fu costruita, nel 1492, dai Sanseverino. Non concordo con questa affermazione per il semplice fatto che alla fine del XV secolo, esisteva di già l’artiglieria, la quale, con un certo numero di colpi ben assestati, avrebbe raso al suolo la grossa mole. La fortificazione, così come ci appare oggigiorno, risulta molto più idonea alle esigenze belliche medioevali più che rinascimentali. E’ da pensare quindi che fu costruita in un’epoca in cui era ancora in uso la sciabola, la lancia e le frecce, pertanto molto prima dell’invenzione della polvere da sparo. In quel 1492 devono essere stati effettuati alcuni lavori di manutenzione o di consolidamento o addirittura di ristrutturazione alla torre.

La  costruzione è composta da un Mastio, alto intorno ai 35 metri,  per l’esattezza 34 metri, di concezione, stile e fattura normanna (L. Fino, Monumenti normanni in terra di Brindisi, in Miscellanea di studi pugliesi, Fasano 1984, vol. I, p.45; Isidoro Conte – G. Scatigna Minghetti, Ceglie Messapico, Arte-Ambiente-Monumenti, Martina Franca 1987, p.78), potremmo considerarla una sentinella che vigila sulla nostra città.  E’ certamente il simbolo di questa città. Il colpo d’occhio per il forestiero è spettacolare. E’ il monumento più conosciuto ed ammirato della nostra città.

La mole che svetta su tutto, di forma tipica degli edifici militari normanni, mostra uno scenario ricco di fascino e attesta una tradizione millenaria, che fa di ogni angolo di Ceglie moderna un prezioso serbatoio di storia e di cultura, risale, come già affermato, al periodo della conquista da parte di quel popolo (1050 – 1070). Caduta la dinastia normanna, fu ristrutturato dagli svevi (Gervasio e Glicerio de’ Persona, più noti quali de’ Matino, padre e figlio), ampliato dagli angioni nel XIII secolo (Ezzelino e Filippo de’ Tuzziaco, padre e figlio), e dagli spagnoli nel XVI secolo, secondo le esigenze belliche del momento. Completano il fortilizio tre torri di forma circolare, di stile aragonese, una delle quali collocata nei giardini degli appartamenti lungo il perimetro esterno.

         Sopra quelle torri prendevano posto le sentinelle le quali potevano spaziare con lo sguardo sulle vallate circostanti con una visuale di oltre 180°. E’ giusto far notare che quelle vedette si integravano a vicenda, ognuno di loro, infatti, sovrapponeva il suo settore di osservazione e vigilanza su gran parte di quello di competenza dell’altra contigua. In questo modo l’eventuale nemico che si avvicinava doveva essere visto da almeno una delle due sentinelle.

            Con il passare degli anni, il fortilizio acquisì, a poco a poco, carattere più residenziale che militare.

            Il perno del fortilizio era, dunque, quel torrione il quale fu certamente ingrandito in epoca angioina tra il 1250 e il 1300, dai de’ Tuzziaco, con lavori di rimaneggiamenti strategici idonei alle funzioni di difesa oltre che di osservazione e tutti in funzione di quella superba torre.

            Se riteniamo giustificata la data di costruzione ipotizzata (1050-1070), il merito di quella superba struttura non può essere attribuito ai Sanseverino, i quali, arrivarono a Ceglie circa quattro secoli dopo, (1484, Antonella Dentice, moglie di Sansone Sanseverino, signore di Nucara.[1]).

Costei aveva acquistata la Terra di Ceglie da Giovanni Battista Brancaccio con “…...istrumento per Notar Cesare Amalfitano cedendo in cambio il feudo di Roccaba- scerano  ….[2]

            Dai documenti in calce citati, rileviamo che Sansone Sanseverino, alla data del 21 maggio 1480, era già passato a miglior vita, quindi, Antonella Dentice, era anche vedova al momento dell’acquisto.  Il Sansone in questione, con molta attendibilità, deve essere morto in combattimento nella difesa di Otranto contro l’attacco dei Turchi. Nessuna documentazione in tal senso ma la data fa ritenere per vero quanto innanzi affermato.

            Il primo della famiglia Sanseverino, padrone della baronìa di Ceglie, fu Tommaso, il quale, il 15 dicembre 1497, sposò a Lecce, Isabella, figlia di Giacomo di Acaya (feudo fortificato appartenente alla contea di Lecce).

            Monumentale davvero quella torre quadrata, sulla cui sommità fu installato, nel 1874, un punto trigonometrico, tra l’altro, ben visibile da Piazza Plebiscito. In quel sito fu murato un cilindro metallico contenente le coordinate geografiche del punto che poi, in definitiva, sono le coordinate di Ceglie: 17° 31’ long.est – 40° 38’ lat.nord.

            Dall’alto della costruzione una vedetta poteva osservare tutto il basso Adriatico e il Canale d’Otranto, scrutare l’avvicinarsi di imbarcazioni saracene e allarmare le popolazioni che vivevano nelle campagne circostanti.

            E’ molto raro trovare una torre così alta in altri castelli italiani di quel periodo. Solo la cupola della Chiesa Madre raggiunge quasi la sua stessa altezza, ma questa fu costruita alla fine del ‘700.  Vista da lontano quella torre doveva suscitare, preoccupazione e rispetto, ma soprattutto doveva incutere timore. E sicuramente faceva paura ad un ipotetico nemico con le intenzioni di conquista.

            Un ampio portale ad arco a tutto sesto con volta ad ogiva, immette nel cortile lastricato del castello. All’interno dell’ingresso principale, a destra, a qualche metro dal portone, una piccola rampa di scale conduce in alcuni locali con una veranda che si affaccia sul sagrato della Chiesa Madre. Potrebbe essere stato il “Corpo di Guardia” in cui alloggiava il personale addetto alla vigilanza.

            Sempre nel cortile, a destra, quasi sotto la scalinata di rappresentanza, un portone immette nelle scuderie, dove non molti anni fa, erano ancora ben visibili le greppie per i cavalli e più all’interno gli alloggi per il personale addetto.

            A sinistra, nel cortile di cui sopra, una ripida scala addossata alla parete della torre conduce all’appartamento posto sull’ingresso. Anche questo con una veranda a triplice arco, si affaccia sul sagrato della Chiesa. Ai piedi di questa lunga scalinata, un pozzo (cisterna) con ai lati due colonne in granito che sorreggono un traversa che doveva tenere una carrucola. Le colonne in argomento, di antica fattura e di materiale assolutamente diverso da quello del castello, potrebbero provenire dal portico della preesistente Cappella abbattuta quando, nel 1521, a cura dei coniugi Sanseverino (Aurelia e Giovanni), fu ristrutturata l’antica Chiesa, oppure, appartenere ad un vecchio Tempio (San Martino, Ognissanti).

            Dai giardini del castello attraverso un tunnel scavato nella roccia, civico 72 di Corso Garibaldi, si raggiungeva una piscina di proprietà della Chiesa Madre, ma concessa in censo alla famiglia ducale[3]. Per piscina deve intendersi la meglio nota cisterna paesana che raccoglieva le acque piovane provenienti dalla collina di San Rocco.

            La città, nel corso degli anni si sviluppa, come tutte le antiche città medioevali, all’interno delle mura cittadine, proprio ai piedi di quella famosa torre, soprattutto verso Levante. 

Tutte le stradine, di concezione araba (strette e a zig-zag), partono dall’ingresso della casa ducale e a semicerchio raggiungono tutte la piazza dell’epoca  (odierna Piazza Vecchia).

Per quanto attiene la descrizione dell’interno del fortilizio si rimanda al saggio dei Prof. I. Conte e G. Scatigna Minghetti, Ceglie Messapico, Arte-Ambiente-Monumenti, Martina Franca 1987.

 



[1] Archivio di Stato di Napoli, Archivio Famiglia Sanseverino, Albero genealogico b.338, Appendice 8, fg. 1-2; P. Elia, Ceglie Messapica, La Storia, Manduria 2000, p.45; J. Donsì Gentile, Archivio Sanseverino di Bisignano, in Archivi di Stato di Napoli, Archivi privati, Inventario sommario, Roma 1967, XIII, p.14; Davide Shamà, I Sanseverino,)

[2] A. Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili di Terra d’Otranto, Sala Bolognese 1971, p.126; V. Spreti, Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana, Milano 1932, vol.VI, p.104)

[3] Archivio di Stato di Brindisi, Notaio Tommaso Lamarina, a. 1748, C.300).

 

 

(Pubblicato il 11/08/2004)

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