Antologia

Antologia letteraria. Scritti, narrazioni e ricordi di Ceglie Messapica (Brindisi)

 

 

La fine del brigante cegliese Francesco Monaco

 

            

        Intervento storico su Francesco Monaco, capo brigante di Ceglie subito dopo l'Unità d'Italia. Il documento è di Valentino Romano, storico del brigantaggio nel Meridione, ed è stato pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno, edizione di Brindisi, il 2 luglio 2005.

 

 Francesco Monaco, capo brigante di Ceglie, pagò a caro prezzo i favori di Menica Rosa, una sua procace compaesana. Il Monaco, al seguito del Sergente Romano dal settembre 1862 al gennaio 1863, scorrazzò per la campagna, macchiandosi di numerosi omicidi ed episodi di violenza efferata come il taglio di barba e baffi dei militi uccisi, che portava con se come macabro trofeo di guerra. Il bandito cegliese - dopo la disfatta di Noci del sergente Romano e la sua uccisione - con i resti della sua banda e di quella di Laveneziana di Carovigno, nei primi giorni del 1863, restrinse il suo campo d'azione nel circondario di Brindisi, macchiandosi di furti, grassazioni e sequestri (arrivò al punto di sequestrare pure il suocero).

La sera del 20 gennaio il brigante, a causa di un forte temporale, si era rifugiato con sette suoi compagni nella masseria "il Pallone" in agro di Ceglie. A tarda ora Menica Rosa Martinelli, ventenne contadinotta, che tornava con il cognato da Francavilla, dove avevano venduto dei capretti, cercò riparo nella stessa masseria. Una volta entrata, si accorse della presenza dei briganti e dovette far buon viso alla sorte avversa. La pioggia che, però, non cessava e la tarda ora sconsigliarono Menica Rosa dal rimettersi in viaggio. Sulle prime i briganti se ne stettero per conto loro. Successivamente il calore del fuoco e qualche robusto bicchiere di vino accesero i bollori di Monaco, che cominciò a fare delle profferte alla giovane. La fanciulla - come depose successivamente al Giudice Istruttore del Tribunale di Lecce - si mostrò riottosa e cercò di opporsi alle voglie del brigante: tutto fu inutile perché questi brandendo una "sciabla" la minacciò di morte.

 Il mattino successivo Monaco, dopo averle tagliato i lunghi capelli e averle fatto indossare dei vestiti maschili e una coppola, se ne partì portandosela dietro: di giorno scorrevano la campagna, la notte si acquartieravano in una masseria amica. Fu così che quattro sere dopo si ritrovarono nella masseria Pilano nei dintorni di Martina. La notte invernale era lunga ed uno dei briganti della comitiva, un certo Bolognini di Roccaforzata, pensò bene di organizzare un ballo con alcune contadine di Locorotondo che in quella masseria si trovavano a prestare la propria opera. Fu proprio Bolognini ad invitare la bella Menica Rosa, ricevendone un rifiuto dal momento che la misera fanciulla aveva "i piedi gonfi, perchè avea dovuto caminare a piedi". 

Non l'avesse mai fatto! Il brigante la costrinse ad un ballo improvvisato, condotto con tanta mala grazia da farla urtare con il naso tanto da far "uscire del sangue". A questo punto intervenne il Monaco che, colpito l'altro brigante, disarmò tutta la comitiva sequestrandone le armi. Al mattino, dopo un'apparente riconciliazione tra la banda ed il capo, la combriccola " ridistribuite le armi - riprese la via delle campagne. Fatte, però, poche centinaia di metri, due briganti, Carlo Francesco Di Martino di Martina Franca e Pasquale Elia di Ceglie, tirarono due schioppettate a tradimento al Monaco che, dicendo "mamma", stramazzò morto al suolo. Dopo averlo depredato di tutti i suoi averi, i briganti si gettarono addosso alla povera Menica Rosa, togliendole gli ori ed il denaro che aveva. 

Diviso il bottino, ognuno se ne andò per la sua strada lasciando libera Menica Rosa che corse subito dai carabinieri di Martina a raccontare l'accaduto. Lungamente interrogata, rilasciò la deposizione che ci permette oggi di ricostruire l'accaduto. La Martinelli, a prima vista, potrebbe apparire una involontaria vittima della violenza brigantesca. E per tale dovette passare anche nella valutazione degli inquirenti, dal momento che nei suoi confronti non sembrano essere state poi adottate misure di rigore. L'interesse maggiore del giudice istruttore e dei carabinieri era, evidentemente, rivolto alla distruzione della banda: chiusero in fretta l'inchiesta, rallegrandosi per la scomparsa del feroce Monaco e non badando troppo ai suoi complici. Distrattamente! Perché se avessero posto maggior attenzione alla deposizione della stessa Menica Rosa, forse avrebbero potuto chiederle delucidazioni su una frase da lei stessa pronunciata. La sventurata fanciulla aveva, infatti, confessato che il mattino dopo il ratto "per acquietarla" (sic) il Monaco l'aveva convinta finalmente a seguirla, dandole ben "cento e quattordici piastre", somma che l'ingenua si era ben guardata dal rifiutare. Così oggi non ci è dato sapere se nella scelta della Martinelli di darsi alla macchia avesse avuto maggior peso la violenza di Monaco, il suo fascino o le piastre "acquietanti". É possibile solo fare qualche congettura in proposito. Chi scrive se l'è fatta, ma al lettore la facoltà di scegliersi quella che più gli aggrada.

Valentino Romano, La Gazzetta del Mezzogiorno

 

(Pubblicato il 02/07/2005)

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